E’ uscito da qualche tempo Inshallah, il disco completo, vario e ricco di sensazioni di Anansi. L’ex compagno di strada di Roy Paci & Aretuska, tre anni dopo l’ultimo disco Tornasole, torna in pista e noi lo abbiamo intervistato.
Mi puoi raccontare la genesi del disco e quale significato ha la scelta di chiamarlo “Inshallah”?
Ho scritto tutti i pezzi dell’album fra la fine del 2011 e l’inizio del 2013 in un costante e intenso work in progress caratterizzato da un lungo lavoro preliminare fatto quasi esclusivamente in solitaria e da una seconda fase di arrangiamento e post-produzione in cui mi ha affiancato il maestro Fio Zanotti con il suo assistente di studio e chitarrista Placido Salamone.
È stato un percorso tutt’altro che semplice anche per il fatto che i rapporti con la mia vecchia casa discografica si stavano piano piano incrinando, quindi ci sono stati momenti in cui potevo solo affidarmi a una volontà superiore per andare avanti serenamente con la mia carriera artistica. Anche per questo l’album si intitola “Inshallah”.
Il lavoro di base del disco è stato fatto da te molto più in prima persona rispetto alle esperienze passate. Che tipo di esperienza è stata da questo punto di vista?
Le circostanze hanno voluto che in numerosi frangenti mi trovassi da solo a lavorare a questo disco. Ho fatto di necessità virtù e mi sono improvvisato bassista, tastierista, programmatore e produttore. Devo ammettere che tuttavia scrivere e produrre un album un po’ alla Prince o alla Lenny Kravitz era un mio sogno nel cassetto che alla fine sono riuscito a realizzare.
Il disco si apre con “Cose che non dico”, che parla di dubbi esistenziali e forse anche di crisi artistiche. Come nasce il pezzo e perché hai scelto proprio questa come traccia d’apertura?
La creazione di “Inshallah” ha attraversato momenti di luce e di buio. Forse “Cose che non dico” parla della “darkest hour” in assoluto, dato che è stata scritta in un periodo in cui pensavo addirittura di mollare la musica e dedicarmi ad altro. Alla fine più che un addio, si è trattato di un arrivederci prima di un nuovo inizio. Ecco perché l’ho scelta come traccia d’apertura.
Mi sembra che il tuo lavoro sia disseminato di piccoli riferimenti spiritual/religiosi anche nelle canzoni più insospettabili. Del resto anche tu porti il nome di un dio caraibico… Si tratta di riferimenti casuali o fanno parte delle riflessioni che stanno alla base del disco?
Da sempre sono un appassionato di teologia (soprattutto cristiana), quindi credo sia ormai piuttosto normale che alcuni termini che riguardano la religione o la fede trovino spazio nelle mie canzoni. A volte magari li utilizzo senza accorgermene!
“Preferisco il blues” mi sembra sia un manifesto, sia un episodio di vita vissuta o quasi. Mi racconti come nasce?
“Preferisco il blues” è una critica al mondo dello show-business italiano e ai suoi grossi limiti. In Italia si tende a etichettare un artista troppo spesso e troppo in fretta: o sei underground o sei mainstream; o fai rock o fai pop; o sei commerciale o sei di nicchia.
Non esiste una via di mezzo. Con solo 7 pezzi reggae su 3 album pubblicati, sono spesso stato considerato un artista reggae a tutti gli effetti, quando invece ho sempre cercato di esprimermi attraverso generi diversi, e tuttora molta gente cade nell’equivoco.
Una seconda critica nel pezzo è rivolta ad “avvoltoi avidi, cinici” ovvero (la maggior parte dei) discografici per colpa dei quali troppo spesso l’arte deve scendere a compromessi troppo ingiusti con il vile danaro. Ne so qualcosa.
Puoi raccontarmi delle collaborazioni contenute nel disco? Come nascono?
Il featuring con Ghemon è nato alla fine del 2013, dopo che gli proposi di collaborare su “Inshallah”. Ho conosciuto Gianluca qualche anno fa a un concerto a cui suonavamo entrambi a Reggio Emilia e poi ho avuto modo di incontrarlo altre volte in giro per l’Italia. Devo dire che sono doppiamente felice per la collaborazione con lui, perché in primis è un grande artista e poi mi ritengo un suo grande fan.
Con gli Gnu Quartet invece avevamo già avuto modo di collaborare in alcuni pezzi di “Tornasole” e nel nuovo disco hanno saputo arricchire meravigliosamente “Mai dire mai” e “Ninnananna”.
Stefano Pisetta invece è un mio concittadino e lo conosco da parecchio tempo, mentre per quanto riguarda le altre collaborazioni (Paolo Legramandi, Alberto Marsico, Davide Ghidoni, Christian Lavoro) sono stato aiutato dal mio manager Piero Fiabane.