L’intervista: Manuel Rinaldi, voglio fare solo quello che mi piace #TraKs

Un po’ di rock a base di chitarra elettrica, qualche influenza internazionale, molti riferimenti alla canzone d’autore italiana e larghe spolverate d’ironia: questa la ricetta alla base di 10 minuti, il nuovo disco del cantautore Manuel Rinaldi, che abbiamo intervistato.

Puoi raccontarmi la tua storia?

Nasco come chitarrista con influenze rock, perché fin da piccolo mio padre faceva girare i dischi in vinile dei grandi della musica rock anni ’70 e io sono cresciuto ascoltando inconsapevolmente quel genere musicale.

Fondo le prime cover band e comincio a “fare la gavetta” andando a ricercare le date in giro per i locali per suonare. Nel 2001 fondo assieme a un amico una band dallo stile punk-rock i “Pupilla” con cui riuscimmo a ottenere un contratto con la EMI e pubblicammo 2 singoli e un videoclip.

Nel 2003 la band si scioglie e io vado avanti per la mia strada, continuando a fare quel che già facevo da diverso tempo: scrivere canzoni. Nel 2007, dopo un incontro con Gianni Bella, propongo un brano all’Accademia di Sanremo e fui tra i prescelti per frequentarla.

Nel 2009 firmo un contratto con l’etichetta MOLTOPOP ed esco con un singolo e un videoclip pop/dance (una sperimentazione che non mi apparteneva e che fa parte del passato).

Dopo un periodo di riflessione artistica durato qualche anno, nel 2013 decido di dar vita al mio album e oggi ho ritrovato la mia strada… eccomi qui a raccontarvi di “10 minuti”.

Sei originario della provincia di Reggio Emilia ma hai vissuto in Inghilterra: che cosa ha regalato l’esperienza inglese alla tua musica?

L’esperienza inglese mi ha aperto gli occhi e le orecchie, mi ha permesso di andare oltre alle sonorità banali e prevedibili che spesso la musica italiana propone, o meglio che spesso i grandi network e media cercano di imporre.

Grazie alle esperienze di musica e di vita che ho potuto toccare con mano, sono arrivato alla conclusione che voglio fare solo quello che mi piace. Non mi interessa se in un particolare momento funziona il rap, poi il jazz o il pop, io faccio la mia musica, punto.

Lo faccio perché mi piace e mi diverte e perché così sono vero e rimango autentico… Solo così puoi arrivare alla gente e crearti il tuo pubblico. Le favole dopo un po’ stancano e c’è bisogno di toccare della sostanza.

Così, in Inghilterra agivo senza la paura del pregiudizio e facevo quello che volevo, non avevo vincoli, potevo suonare in un locale la mia musica anche se ero un perfetto sconosciuto, ad esempio. Così mi sono portato a casa questa irriverente libertà e ho creato il mio album: 10 minuti.

Mi sembra che le tue canzoni nascano spesso dal quotidiano. Qual è il tuo processo di lavorazione sulle canzoni e da dove prendi i tuoi spunti?

Le mie canzoni nascono da una chitarra acustica suonata spesso senza un senso logico. A casa, le chitarre sono a portata di mano e così, in un momento non definito della giornata, ne prendo in mano una e comincio a suonare accordi.

Quando qualcosa che ho suonato inizia a piacermi, mi soffermo e vado avanti. Di solito non impiego molto tempo, o mi piacciono subito o passo oltre. Per quanto riguarda i testi, in questo album ha collaborato con me un autore che è anche un grande amico, Stefano Leonardi.

Mi piace ascoltare quel cantautorato italiano che definisco “fuori dagli schemi”, perché non ho mai sopportato molto quei cantanti che sfoderano la loro voce puntando tutto sulla tecnica vocale e nemmeno quelli che interpretano, ovvero cantano solo canzoni scritte da altri.

Per questo il grande Vasco, De André, Battiato, Battisti, Rino Gaetano… sono stati e continuano a essere dei riferimenti importanti per il mio percorso artistico, loro non hanno mai seguito i cliché e nemmeno io voglio farlo.

Per quanto riguarda le sonorità, nascendo come chitarrista, le chitarre hanno una parte fondamentale nelle mie canzoni… Adoro il rock, ma contemporaneamente apprezzo la melodia, quindi ho cercato di fondere la ruvidezza del rock con il sound più soft del pop.

Come è iniziata la collaborazione con Fabio Ferraboschi, tuo produttore e bassista dei Rio?

Fabio l’ho conosciuto nel 2001 quando registrai insieme ai Pupilla il singolo prodotto dalla EMI nel suo studio il “Busker studio”.

Poi ci siamo persi di vista fino al 2014. L’album 10 minuti, inizialmente, aveva preso forma in uno studio di registrazione che non mi stava dando ciò che desideravo in termini di professionalità e sonorità, così, ho interrotto le registrazioni e “buttato via” il materiale che avevo registrato fino a quel momento.

Contattai Cris Maramotti (ex chitarrista di Piero Pelù, amico nonché mio maestro di chitarra) per chiedergli se gli andava di suonare le chitarre nel mio disco, accettò e, dopo esserci confrontati su a chi affidare la produzione, mi fece il nome di “Bronski” (è così che si fa chiamare Fabio Ferraboschi).

Lo contattai, ci incontrammo e gli feci ascoltare i pezzi dell’album e lui decise di collaborare con me. Non poteva essere scelta più azzeccata. Con Fabio e Cris ho trovato il giusto sound e una professionalità incredibile, devo molto a loro per l’uscita di questo disco.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi

sungaitoto toto togel deposit 5000 toto slot situs toto situs toto situs toto bo togel terpercaya