Terzo disco e nuove esperienze per Miriam in Siberia, la band campana che ha pubblicato da poco Failing, disco con rock, psichedelia e, a dispetto del titolo, con pochissimo pessimismo (qui la nostra recensione). Ed ecco la nostra intervista.
Qualcuno ha scritto che “Failing” è una continuazione ideale rispetto a “Vol. 2”: condividete il giudizio? Era questa l’idea di base oppure è stato semplicemente naturale proseguire alcuni discorsi lasciati in sospeso?
In un certo senso Failing può rappresentare uno sviluppo possibile di Vol. 2, un disco che ci ha aperto strade nuove. Le possibilità erano diverse, alla fine Failing rappresenta una versione più diretta dei Miriam in Siberia, con suoni più taglienti e aggressivi rispetto a Vol. 2.
Quindi di discorsi lasciati in sospeso, in realtà, non ce n’erano: tutti i nostri dischi (ne abbiamo fatti tre) sono molto diversi tra di loro e danno la nostra visione di una sfumatura specifica del rock.
Il Suono del Phon era malinconico, Vol. 2 molto più vigoroso e aperto a nuove influenze. Failing esprime un sound psych rock più idiosincratico e se vogliamo con meno compromessi di quanto fatto in passato.
Infatti, il disco non ha niente di pessimista, anzi ha un’attitudine molto combattiva. Per esempio nella title track ci immaginiamo una figura resistente, una persona che non si arrende di fronte a ostacoli molto più grandi di lui – in qualche modo, quindi, forse c’è addirittura ottimismo.
Ma, in ultima analisi, Failing parla di combattere battaglie perse, di resistere e di conservare dignità nel farlo. Di andarsene in gloria, ecco. Failing poi, è un titolo vagamente provocatorio, forse tutto il contrario delle pose da rocchettari, certamente influenzato dal Loser di Beck e comunque da tutta l’esaltazione del perdente di certo rock anni ’90.
Questo è il primo disco che cantate totalmente in inglese: si tratta di una scelta definitiva e come avete deciso per questa strada?
Con le scelte “definitive” non siamo molto bravi, ma penso proprio che continueremo così; fondamentalmente Failing è il nostro disco più vivido, e con l’Inglese siamo riusciti a descrivere immagini e fascinazioni senza essere specificamente descrittivi o poetici come abbiamo fatto in precedenza.
Personalmente mi piaceva molto l’Italiano e penso che era uno dei nostri punti di forza, ma con Failing lo stile dei dischi precedenti forse c’entrava poco.
Oltre a questo discorso stilistico, di sicuro c’è anche la volontà di essere capiti da un gruppo di persone non necessariamente anglofono, ma che comunque riconosce nell’Inglese la lingua franca di certo psych rock.
Band sia europee sia americane coesistono senza particolare enfasi sui loro paesi e lingue d’origine, ed è a quel contesto che vorremmo appartenere.
Avete scelto di masterizzare il disco a New York: perché avete fatto questa scelta e pensate anche in futuro di ricorrere a contributi internazionali per i vostri futuri dischi?
Direi di sicuro… il mastering è una fase importante della produzione di un album, e tutti i nostri dischi sono stati masterizzati negli USA, da Salt Mastering o nello Chicago Mastering Studio di Bob Weston (degli Shellac).
Gli ultimi due album sono stati espressamente pensati per il vinile: questo ha influenzato la nostra scelta di Salt Mastering (che ha masterizzato Vol. 2 e Failing), perché ci piace molto il suo modo di pensare il mastering in funzione del supporto vinile, la capacità di dare volume unito a una compressione giusta ma controllata, generosa sui bassi.
Il risultato finale chiaramente è quello su vinile: va bene ascoltare in streaming per capire più o meno che musica facciamo, ma il disco è pensato per il vinile. Detto questo non penso siamo dei puristi e riconosciamo al digitale piena dignità artistica – ma in questo caso la nostra intenzione era un disco con un’estetica analogica.
È stato tutto molto spontaneo quanto (direi) ben riuscito. Marco l’abbiamo conosciuto una sera al Rock Contest di Controradio, a Firenze; lì (la sera stessa) ci siamo messi a chiacchierare, aveva visto la nostra esibizione e ci fece vedere questo reportage fotografico che aveva realizzato in Siberia.
Bellissimo, il libro è un pugno in occhio per come rappresenta una realtà durissima, eppure è anche morbido nel dipingere i colori tenui dei ghiacci e della neve.
A un certo punto c’era questa foto, “Veduta aerea della tundra siberiana”, non ci abbiamo pensato più di due minuti, era la copertina di Failing: una distesa enorme, impossibile da superare o anche comprendere, l’immagine della sfida impossibile.
Marco ha subito acconsentito, e un grande ringraziamento va anche a Toscana Energia (che detiene i diritti dell’immagine), che non ci ha pensato due volte a consentirci di usare l’immagine.
Il presidente di Toscana Energia ci ha anche fatto i complimenti per Vol. 2, una cosa commovente. E quindi eccola, non potremmo essere più contenti al riguardo. E anche la copertina, ovviamente, è molto più bella sulle dimensioni del vinile che in una jpeg su Internet!