E’ appena uscito Io non ho finito, il nuovo disco di Niccolò Agliardi. Anzi, di Niccolò Agliardi & The Hills: il cantautore ha infatti deciso di mettersi in gioco e di trasformarsi nel frontman di una band, in un’operazione comune all’estero ma non molto tipica in Italia.

Il disco arriva da lontano: era praticamente pronto nel 2012, ma è arrivata una telefonata e la commissione per la colonna sonora per la fiction Rai Braccialetti rossi, grande successo di pubblico e ottima esperienza umana per Niccolò. Ed ecco come ci racconta il tutto.

In che contesto nasce questo disco? Doveva essere pronto nel 2012, poi è intervenuto il discorso di “Braccialetti rossi” e c’è stato tutto quello che c’è stato…

“C’è stato tutto quello che c’è stato” è il modo migliore per partire: questo disco nasce dalla precisa volontà di cinque persone di mettersi insieme e di realizzare un disco un po’ diverso rispetto a quelli che ero abituato a fare. Questa volta la condivisione era estrema su ogni fronte.

Non vuol dire una condivisione sempre pacifica: quando si condivide ci si scontra e ci si scanna spesso e volentieri, ma con la consapevolezza di andare in una direzione particolare.

C’era la volontà di applicare all’interno di un progetto il meglio delle capacità di ognuno. Io questo l’ho trovato molto poetico, incoraggiante, mi ha inorgoglito molto il fatto che le mie canzoni suscitassero un desiderio di partecipazione, di idee buone.

Allora mi sono detto: visto che il cantautore l’ho già fatto e non mi interessa essere sempre ciò che sono già stato, ho deciso di diventare il cantante di un gruppo, composto da persone di cui mi fido ciecamente, grandi professionisti, grandi studiosi, il che non è da sottovalutare, ragazzi che vedo quotidianamente applicarsi allo studio dello strumento, migliorandosi.

Così siamo stati a casa mia prima in collina a Tortona, poi in studio, che non è uno scherzo: lo paghiamo noi, i tempi sono quelli che sono, bisogna essere veloci, efficaci, rispettosi uno dell’altro e dei tempi che ci siamo dati. Per fortuna c’era Pietro Cantarelli, il produttore storico di Ivano Fossati, che aveva sicuramente un occhio adulto, esperto e ci ha aiutati ad assemblare tutte le idee.

E poi?

E poi… c’è stato tutto quello che c’è stato, ovvero lo tsunami “Braccialetti Rossi”, una delle cose più belle e affascinanti che la vita mi abbia e ci abbia regalato. Non avevamo nemmeno chiuso il disco precedente, che poi è “Io non ho finito”, che è arrivata questa telefonata e noi il giorno dopo ci siamo messi a scrivere un altro disco.

In una sorta di schizofrenia, il rischio che si facesse confusione era alto. Per fortuna “Braccialetti rossi” ha un’identità talmente precisa e delle esigenze talmente differenti da quelle del nostro disco che tutto è andato per la strada migliore.

Il successo nazionale di questa fiction è sotto gli occhi di tutti, i dati di vendita della nostra compilation anche, dopodomani andiamo a ricevere un premio per la migliore colonna sonora, quindi diciamo che qualcosa è andato bene. Ed è andato bene perché lo abbiamo voluto in cinque, da solo non sarei andato da nessuna parte.

Quindi ormai ti consideri un bandleader a tutto tondo…

E’ così, poi ovviamente in Italia la comunicazione è letteraria, le canzoni le canto e le scrivo anche a livello di testi, ma di questo disco non si può dire che sia stato fatto male, con approssimazione o lasciando delle falle: è un disco studiato da sei persone che secondo me il proprio lavoro lo sanno fare bene.

Io penso che sia il disco di una band che sa dove vuole andare, che ha avuto la volontà di emozionarsi, anche di commuoversi, di scendere anche piccoli sentieri impervi e non soltanto delle autostrade del pop, di raccontare di grandi assenze e altrettanto grandi presenze, in un’armonia dei contrasti. Io sono molto felice perché è un disco “da grandi”.

Ed eccomi con una domanda anticlimatica: la tua canzone “L’amante”, inclusa nel disco, mi sembra molto da cantautore, e mi riporta sapori e aromi di un De Gregori d’annata, che so essere piuttosto alto nella classifica dei tuoi gradimenti…

A parte che mi sono laureato con una tesi su Francesco De Gregori, quindi mi nasconderei dietro un dito se dicessi il contrario. Finché qualcuno mi dice “il tuo modo di cantare mi ricorda vagamente Fossati” o “il tuo modo di scrivere mi ricorda vagamente De Gregori” posso solo esserne contento… Comunque è vero, soprattutto ne “L’amante” c’è un De Gregori ’95-’96 d’annata che secondo me aveva un buon sapore.

De “La sentinella” invece mi piace soprattutto la non reticenza nello scrivere in maniera poetica: mi sembra che i cantautori della tua generazione abbiano qualche problema e ritegno nello scrivere in modalità, diciamo così, elegiaca, mentre tu non hai questo problema.

E’ una delle canzoni più in prosa rispetto ad altre (parlo di modo di comunicare la canzone, non del contrasto tra poesia e prosa). Ho cercato di raccontare in prima persona la storia di una persona che non sono io, cioè un soldatino di vent’anni, vero, che si trova al fronte e che si deve prendere cura delle vite degli altri, dei suoi commilitoni.

E a vent’anni si trova in un deserto e avrebbe soltanto un desiderio: che qualcuno si prendesse cura della sua vita. Io trovo che un ragazzo che sacrifica la sua quotidianità, il suo divertimento, le sue birre, i suoi orgasmi, la sua giovane e scriteriata età per vegliare sulle vite altrui ha tanto di poetico.

Perciò mi sembrava irrispettoso usare un altro tipo di slang, a un certo punto ho fatto dire a questo ragazzo: “Guarda che cosa mi tocca sperare, di essere vivo”. L’ho immaginato come un ragazzo del sud, con questo senso di responsabilità dei ragazzi del sud, ed è l’unica libertà per così dire slang che mi sono concesso in questa fotografia.

Il pudore di essere profondi e romantici lo conosco, sono anche stato per così dire timorato, sotto questo punto di vista. Ma quando compi 40 anni e sei dove volevi essere, con tantissimi privilegi e tanta fortuna, a un certo punto è giusto essere quello che sei.

Come nascono e come si sviluppano due collaborazioni diverse come quella con Emis Killa e quella con Giovanardi (ex La Crus)?

Si parlava prima di armonia degli opposti: ecco non credo ci siano due persone più distanti fra loro di Emis Killa e Mauro Ermanno Giovanardi. Ciò detto Emiliano è un ragazzo spericolato, irruento, buffo ai miei occhi, irriverente e maledettamente hip hop. Eppure è una di quelle persone che se mi dovessi trovare in difficoltà in Perù alle 4 del mattino, lui prende un volo, mi raggiunge e mi dà una mano. A me questa cosa viene da chiamarla “amicizia”, indipendentemente da un featuring.

Per quanto riguarda Mauro Ermanno è un uomo di 50 anni, che ha un’ironia e una leggerezza geniali, non a caso l’ho chiamato a cantare con me una canzone sulle canzoni, su quanto bisognerebbe prendere a volte le distanze dalle canzoni. E citiamo una canzone dell’82: “Sono solo canzonette”. Ed è giusto che alla fine di un album ci si ricordi che stiamo facendo questo.

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