Interessante dal punto di vista musicale ma anche da quello tecnologico: Marco di Noia, in collaborazione con l’esperto di 3D audio Stefano Cucchi pubblica Elettro Acqua 3D, un concept-album sul viaggio pensato e realizzato appositamente per i viaggiatori, dove l’acqua, sia protagonista che spettatrice, parte da Milano per poi farvi ritorno, dopo un percorso attorno al mondo in cui ogni tappa si fa occasione per affrontare tematiche sociali, letterarie e ambientaliste.

Il disco è proposto con la formula dell’app-album, una modalità di pubblicazione e condivisione della propria musica del tutto inedita in Italia (non a caso la SIAE ha concesso una licenza speciale al progetto, in attesa di implementare il proprio regolamento a tutela di altri artisti che volessero adottare questa soluzione). Abbiamo rivolto alcune domande a di Noia e Cucchi.

Partiamo dalla novità tecnologica: da dove nasce la scelta dell’app album?

DI NOIA: Nasce in primis dalla necessità di creare un format di distribuzione capace di ospitare efficacemente quei contenuti di approfondimento che credevamo fossero doverosi per Elettro Acqua 3D, un album ricco di sperimentazione e ricerca, che ha richiesto diversi anni di lavoro. In secondo luogo, avevamo bisogno di raggiungere il nostro pubblico ideale, quello con del tempo da dedicare a un ascolto attento e approfondito, e che abbiamo identificato nei viaggiatori.

Da qui nasce l’idea di una pratica app, che ben si sposava con il viaggio in 3D audio, che già stavamo realizzando. Anche perché, chi viaggia in metropolitana, treno, aereo o autobus, oltre a necessitare di praticità, non può esimersi dall’ascoltare la musica con le cuffie o gli auricolari per non dare fastidio ai compagni di viaggio; una dimensione d’ascolto valorizzata e resa speciale dal 3D audio.

Faccio l’avvocato del diavolo: perché dovreste riuscire voi dove Björk ha fallito? E non vi scoraggiano i limiti tecnologici di un disco praticamente ascoltabile soltanto via smartphone?

DI NOIA: Biophilia” di Björk è uscito nel 2011, quando le app sui cellulari non erano diffuse come oggi. Inoltre aveva una grande complessità, e prevedeva diversi scaricamenti a pagamento, e non uno solo gratuito come nel nostro caso. Anche perché evidentemente lei perseguiva legittimi fini differenti, non avendo certo bisogno di farsi conoscere dagli ascoltatori.

Sinceramente non trovo particolari limiti tecnologici nel modello dell’app-album, tanto più perché il cellulare sta diventando sempre più uno strumento onnicomprensivo, e come tale avrà memorie sempre più capienti. Nel nostro caso, lo scaricamento dell’app-album in versione standard (MP3), è anche piuttosto leggero, tanto che non richiede l’obbligatorietà del WIFI.

L’app offre anche la possibilità di passare a un audio in alta definizione sonora (WAVE a 48 Khz-24 bit), a pagamento: un file più pesante che invece richiede di essere scaricato con il WIFI, ma che io, per esempio, ho installato sul mio cellulare senza “effetti collaterali” di alcun genere. Tra l’altro il player musicale di Elettro Acqua 3D funziona anche off-line e in background; ovvero l’album può essere ascoltato sia in aereo senza connessione, sia on-line, mentre si chatta su Whatsapp o si naviga in internet.

Veniamo al disco: intanto quali sono le premesse e le ispirazioni alla base di questo concept album?

CUCCHI: La premessa nasce dall’idea del viaggio. In un viaggio si visitano luoghi diversi, talvolta lontani, e ci si trova immersi in paesaggi, anche sonori, differenti. Da qui l’idea di usare alcune tecniche di 3D audio e di mixaggio binaurale, che permettono all’ascoltatore di “eliminare” l’ambiente sonoro circostante, e ritrovarsi “trasportato” da suoni elettronici o reali tra le varie tappe del viaggio. Ogni tappa ha una sua ambientazione sonora, pur restando nell’ambito del synth-pop.

Ci sono richiami al folk ne “L’ultima marcia degli Ent”, citazioni di musica colta in “Sette metri sotto il suolo”, percussioni africane ne “Il fiume Mara”, ritmi reggae ne “Il Beach Boy di Ukunda”, ecc. Mi è difficile parlare di ispirazione in quanto sia io sia, penso, Marco, in questo viaggio ci siamo avventurati in territori che non avevamo ancora esplorato. Credo che i miei studi pianistici e la continua ricerca di armonie non usuali abbiano molto influenzato il mio modo di comporre. Ho anche attinto molte idee dalla musica che più amo e che più ho ascoltato: il prog degli anni ’70, la musica elettronica colta, Bach e Chopin.

Mi è piaciuto molto anche lavorare col materiale sonoro originale, sia campionato che di sintesi, cercare combinazioni ritmiche inusuali, scrivere armonizzazioni “corali” sfruttando le doti vocali di Marco e cercare artifici contrappuntistici ne “Il Buddha dialoga con Shaka”.

Marco Di Noia: non è stata seguita una regola

Mi sembra che la geografia sia uno dei fattori predominanti dell’album, non soltanto per il discorso del viaggio ma anche per fornire colori e umori diversi alle canzoni. Nasce prima il luogo (ideale) o la musica che andrà ad adattarsi a esso?

DI NOIA: Fermo restando che ogni nostro brano dovesse essere in qualche modo attinente all’acqua, non è stata seguita una regola. Per esempio ne “Il Fiume Mara” è nata prima l’idea di fare un brano ambientato nella savana; set che ho legato all’acqua con il parallelismo tra la grande migrazione degli gnu, che culmina con la traversata dell’omonimo fiume, e l’emigrazione umana attraverso i mari.

Al contrario, in “Sette metri sotto il suolo” sono partito dal personaggio che volevo utilizzare, il Re dei Topi di Hoffman e Tchaikovsky, per poi assegnargli il “luogo” d’azione, ovvero le fogne metropolitane di un regno fatto di acque reflue e imparziali depuratori. Una volta definiti personaggi e ambientazioni, siamo passati alla composizione che talvolta partiva da idee musicali di Stefano, altre volte da una mia quartina.

L’unico brano che esce da questa logica credo sia la “Perfetta Imperfezione”, dove avevo proposto a Stefano di ricercare un’atmosfera che fosse tra la “Cura” di Battiato e “Life On Mars” di David Bowie. Una volta abbozzata l’idea musicale, ho scelto l’ambientazione geografica acquatica del testo che più le si addiceva: in questo caso, il freddo mare artico illuminato dall’aurora boreale.

CUCCHI: Abbiamo anche cercato di caratterizzare i luoghi con alcuni strumenti tipici o stili musicali che potessero ricreare un particolare clima emotivo. Ho associato, per esempio, il vento freddo del nord della “Perfetta Imperfezione” a suoni di pad digitale e arpeggiatori.

Ho immaginato il racconto ambientato nella “Terra di mezzo” de “L’ultima marcia degli Ent” con un cembalo synth, delle cornamuse e dei tamburelli, in un ideale Medioevo. Lo stornello romano di “Rapsodia Tiberina” è accompagnato da un vecchio organo e una fisarmonica. In “Sirene” l’arpa classica di Claudia Beatrice Zanini vuole ricordare la cetra con cui si accompagnavano gli aedi dell’antica Grecia. I suoni, pur nell’ambito del synth-pop, richiamano e alludono a stili musicali differenti e lontani.

Avreste scelto un app-album anche se aveste fatto musica, poniamo, folk? Oppure ci sono generi che si adattano meglio al discorso? E ripeterete l’esperienza in futuro?

DI NOIA: Non credo che se avessimo suonato musica folk avremmo fatto l’app-album, proprio perché a convincerci, nel nostro caso, è stato tutto il “pacchetto”, composto da 3D audio, elettronica, necessità di inserire contenuti di approfondimento e di cercare un pubblico che avesse tempo da dedicare a un ascolto attento, ovvero i viaggiatori. Credo poi che l’app-album, come modello di distribuzione, offra grande spazio alla creatività degli artisti.

Personalmente lo vedo vincente per i cantanti con grande seguito tra i teenager, oppure, all’opposto, per chi propone album più densi di contenuti come il nostro, che vengono goduti al meglio se corredati da materiale di approfondimento artistico. Non so dirti se ripeteremo l’esperienza in futuro, più che altro perché non abbiamo ancora iniziato a lavorare al prossimo album. Il supporto di distribuzione dipenderà innanzitutto dalla strada artistica che decideremo di prendere. A ogni modo, credo di potere affermare che, al momento, sia io che Stefano siamo più attratti dalle strade poco battute o inesplorate, non solo a livello prettamente musicale.

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