Si intitola Il Grido della Fata il nuovo disco firmato dal cantautore genovese Max Manfredi. Dodici canzoni e oltre tre quarti d’ora di musica: la struttura è quella di un disco “di una volta”; ma l’attenzione ai suoni e la ricchezza della proposta sono assolutamente al passo con i tempi.

Max Manfredi traccia per traccia

Quasi rappata, comunque piuttosto ansiogena, Scimmia grigia apre le danze con uno sguardo piuttosto critico sul contemporaneo quotidiano. E’ un incipit poco sereno ma anche un po’ ironico e molto da cantautore.

C’è il pianoforte e c’è qualche movimento quasi thrilling che si aggira per la Sala da concerto, che poi si distende su percussioni e fantasmi sonori, nella seconda parte di un brano inquieto.

Nostra Signora della Neve descrive in modo piuttosto simbolico, orientandosi su sonorità piuttosto gutturali e quasi industrial. Più minimal le idee di Malvina, che si dipana come un altro racconto molto curioso, un po’ surreale, forse autobiografico.

Suoni d’Oriente per Nasi Goreng, che si diffonde in descrizioni morbide e assonanze che scivolano una sull’altra senza soluzione di continuità.

Parla di gelati, Manfredi, nell’introduzione di Polleria, prima che la chitarra intervenga a rafforzare le malinconie della canzone. Amici che se ne vanno e cori angelici insistono nel finale di un brano particolarmente intenso, a dispetto degli indizi di quotidianità usati nel testo.

Il Guastamori è una sorta di fiaba nera, un po’ Tom Waits, un po’ Tim Burton, che procede con passo serrato e torna al “quasi rap” già incontrato. Al contrario, Rosso rubino è cantata in modo antico e oscillante, su un’atmosfera da film americano drammatico degli anni Trenta o giù di lì, con un po’ di parodia nelle corde.

C’è la chitarra ad aprire Apis, che sa di Paolo Conte e di tristezza, tra cinema porno e Cleopatra, come in un viaggio profondo e probabilmente infernale. Elicriso arpeggia parlando di fiori, libri e anche serenità, organizzando una specie di minuetto.

Si spengono un po’ di luci con Canzone del Finale, che parta di una festa in villa, vista però con occhi piuttosto disincantati. Finale enigmatico con Il grido della fata, fiabesca title track suonata con delicatezza.

Disco veramente curioso e creativo, quello di Max Manfredi: il cantautore prende le proprie radici e ci fa una pozione, fatata appunto, mescolando elementi luminosi e oscuri. Il risultato è un disco poetico, “alto” anche quando vola rasoterra, generoso di sensazioni e simboli, narrativo anche se spesso incomprensibile.

Genere musicale: cantautore

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