medullaOtto anni di attività, due album alle spalle e uno in uscita il 28 novembre: i Medulla sono al punto di svolta della loro carriera. Un cambio di sonorità, una maturata consapevolezza nei testi, un video per il primo singolo colorato e divertente sono le caratteristiche principali di Al di là del buio (qui la recensione).

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Abbiamo fatto qualche domanda alla band sul nuovo lavoro.

Con il vostro terzo album, Al di là del buio, la svolta rispetto al passato è evidente, sia per i contenuti delle vostre canzoni, sia per il vostro look. Cosa vi ha spinto ad aprire le finestre e a far entrare un po’ di luce e colore?

Mich: abbiamo sempre scelto il titolo dell’album a fine lavori, cercando qualcosa che potesse contenere quello su cui avevamo lavorato. Invece con Al di là del buio è stato esattamente l’opposto: prima ancora della prima canzone (che fra l’altro è stata proprio Al di là del buio) avevo già queste parole, sapevo che quel che avrei scritto avrebbe raccontato di questo. E’ uno stato a cui sono arrivato in prima persona, dopo aver percorso un lungo tragitto.

Charlie: per quanto riguarda le sonorità più elettroniche, si tratta di una evoluzione che avevamo già intrapreso, seppur solo in accenno, in Camera Oscura. Questo lato più elettronico, in cui inseriamo anche accordi in maggiore (prima eravamo molto affezionati al decadente e agli accordi in minore) porta a un senso di leggerezza delle canzoni, che viene comunque smorzato dai testi, dal contenuto un po’ più positivo o speranzoso forse, ma pieni sempre di paure e auto-critiche. Per quanto riguarda il look, nel momento in cui il bozzolo “dark” si è schiuso ci è sembrato giusto proporci anche visivamente più “allegri”, quindi a ognuno il proprio colore!

Fede: io sono entrato nella band prima come produttore artistico e, in modo del tutto naturale e spontaneo, ne sono diventato il bassista. Prima di lavorare ai brani con gli altri avevo un approccio abbastanza cupo alla musica. Ho sempre amato canzoni e artisti “tristoni”, e questo poi veniva convogliato nelle mie canzoni. In un certo senso da quando ho conosciuto i Medulla (innanzitutto Michele dopo che era venuto a fare una collaborazione con La Colpa, band con cui stavo lavorando in studio all’epoca) ho incominciato anch’io lo stesso percorso, pian piano il mio punto di vista si è schiarito, ha preso nuove tinte. Così ci siamo trovati subito.

Io sono dell’idea che per scrivere bisogna attingere da ciò che si vive, dal quotidiano. Ci siamo incontrati in un periodo positivo della nostra vita e ne è uscito un album pieno di speranza ma solo perché noi lo eravamo. I contenuti e i suoni di un disco devono rispecchiare soprattutto gli artisti coinvolti. Solo così il risultato finale può essere credibile. Al di là del buio rispecchia una rinascita per alcuni di noi, il modo di vedere le cose in questo preciso periodo della nostra vita.

Il vostro disco è autoprodotto. Spesso i musicisti emergenti fanno fatica a trovare etichette e produttori disposti a investire nel loro lavoro. Qual è stata la vostra esperienza? Che consigli dareste a chi oggi vorrebbe registrare il primo album?

Fede: siamo riusciti a realizzare il nostro disco grazie a un crowdfounding tramite il portale Ulule, e quindi grazie alle persone che ci sostengono.
I tempi sono cambiati. È difficile (ma soprattutto utopico) trovare un soggetto che voglia investire in tutto e per tutto in un progetto discografico, questo è riservato a band più grandi, con contratti importanti, e oramai anche per loro i budget si sono ridotti drasticamente (non esiste più il giro di denaro di un paio di decenni fa, dove si è esagerato pure con gli sprechi).

L’autoproduzione sembrerebbe l’unica via percorribile per gli artisti emergenti. Io lavoro in uno studio di registrazione come tecnico e produttore (sono entrato nei Medulla inizialmente come produttore artistico infatti) e sono a contatto con questa realtà ogni giorno. La figura del produttore è cambiata, e ultimamente si confonde spesso con chi investe direttamente sull’artista. Ora quella figura è più riconducibile a chi interviene dal punto di vista artistico, consigliando la band, indirizzandone il sound, mettendo mano agli arrangiamenti: tutto quello che riguarda in fin dei conti il processo creativo.

E di solito è anche chi realizzerà il disco dal punto di vista tecnico (registrazione e mix). Agli artisti che si approcciano a un primo disco (lp o ep) mi sento di dare un consiglio per esperienza personale: una volta buttati giù i pezzi chiedete consiglio a qualcuno del mestiere. Non voglio tirare acqua al mio mulino (a quello del mondo della produzione musicale si intende) ma credo che sia un passaggio fondamentale.

Ci sono persone più esperte, che possono dare davvero la svolta a un prodotto e, soprattutto, è un soggetto non coinvolto in prima persona. Un parere da un orecchio esterno è sempre utile. Io lavorando al Noise Factory ho collaborato con Alessio Camagni (produttore di Ministri, L’introverso, La Colpa, Aabu, ecc…), Taketo Gohara (Vinicio Capossela, Negramaro, Brunori Sas, ecc…) e tanti altri produttori da cui ho imparato tanto. Un professionista del settore riuscirà sempre a dare quel qualcosa in più o anche solo riuscire a far guardare le cose da un’ottica diversa. L’importante è scegliere la persona giusta.

Medulla: ogni nuovo inizio parte da una certa fine

Una delle canzoni che più mi ha incuriosita è “Non è colpa mia”. Ci sono momenti in cui vi siete sentiti in colpa senza motivo? In quali momenti pensate sia necessario non chiedere scusa per non andare contro se stessi?

Mich: Credo sia molto sottile la linea che delimita questo aspetto. Non si può rispondere a questa domanda in generale con un “non credo si debba chiedere scusa semplicemente perché siamo fatti così”. Rischieremmo di far entrare in quel panorama un sacco di profili di personalità per cui credo che una persona debba chiedere assolutamente scusa e capire che quel che è diventato forse non è cosa… Cosa risponderemmo a un razzista che dice: “eh ma io sono fatto così”!? Ovvio, ho tirato fuori un estremo, ma la frase “eh ma io sono fatto così” è un alibi mostruoso.

Per assurdo, quando ho scritto questo testo ero partito dal rapporto tra responsabilità e colpa, di come l’ho vissuto in modo conflittuale, chiudendomi a riccio. Il protagonista dice: “E tu (quindi in teoria sta rispondendo a qualcuno)  mi vieni a dire, che in fondo, è una responsabilità anche mia”…ma è lui stesso a trasformarla in colpa e Sbam! chiude tutta la conversazione e canta un’intera canzone su ciò che vive.

Ma due occhi che non guardano la luce da un po’ faticano e fanno male per forza, è fisiologico, mica vuol dire che non si può più farlo. La responsabilità è non chiuderli perché “tanto ormai”… Riaprire la propria vita alle possibilità della vita stessa, è una responsabilità. O almeno che non ci si lamenti se ci si vuole abituare a quel “tanto ormai”, ecco… Se poi mi chiedi se si debba chieder scusa per non esser all’altezza delle aspettative degli altri, ti rispondo: TUTTA LA VITA!

Charlie: ‘non chiedere scusa per non andare contro se stessi’ o meglio ‘chiedere scusa pur andando contro se stessi’ è l’ago della bilancia che ha da una parte l’amor proprio e dall’altra l’interesse verso l’altra persona. Io credo profondamente nell’onestà verso se stessi, da qui i giochi si fanno più semplici. Ovviamente non ci si può e non ci si dovrebbe mai sentire in colpa per aver disatteso le aspettative di chi vuole che siamo come l’idea che questi si è fatto di noi. Io sono io, posso ‘adattarmi’ per stare meglio con te, ma se tu mi vuoi ‘altro’ allora quello fa parte della tua sfera di ragionamento e sentimento, e io non ci posso fare nulla, nemmeno sentirmi in colpa.

L’ultima traccia del disco si chiama “Epilogo”, eppure il messaggio sembra andare in direzione opposta. Credete che dai fallimenti si possa trovare la forza per ricominciare?

Mich: Si, il messaggio finale lo è assolutamente. Ma prima di ricominciare dovremmo aver il coraggio di finire il capitolo che stiamo vivendo. Invece capeggiano slogan come “mi piego ma non mi spezzo”, “non mollo”, “mi rialzo più forte” ecc. e si finisce col  ricominciare lo stesso capitolo, o comunque un capitolo molto simile. Ho scoperto che voltare pagina è un’altra cosa. Per me vuol dire soprattutto non ricominciare col peso di quel che si è vissuto fin a quel momento. Con l’esperienza sì, ma il PESO no. E’ per quello che nel bridge ringrazio chi nella vita mi ha tenuto la testa sott’acqua oltre il mio limite, loro non lo sanno, ma se ho voltato pagina davvero è stato grazie anche a loro. Mi sono levato e lavato via le ferite dei primi 33 anni di vita. Dici poco?

Charlie: come si dice.. ‘ogni nuovo inizio parte da una certa fine’. E assolutamente dai fallimenti non si può far altro che risalire. Il fil rouge di tutto il disco è proprio questo: sto affondando e me ne rendo conto. E’ istintivo annaspare per cercare di stare a galla, ma così spreco le forze e mi vengono i crampi e non faccio che soffrire e non ottenere miglioramenti. Se riuscissi invece ad andare oltre il panico e a rilassarmi, a distendermi, ad accettare questa fine, posso toccare il fondo, terra solida da cui prendere la spinta per risalire.

Fede: inizialmente volevamo chiamare la canzone Prologo. Anche se è l’ultima traccia del disco ci sarebbe piaciuto chiamarla così. Siamo arrivati alla fine di un percorso che ne fa iniziare un altro. È un inizio per noi sia come individui come come band. Al di là del buio è soprattutto un viaggio interiore dove si mettono da parte le delusioni, i fallimenti e ciò che ci ha fatto soffrire per poter andare avanti con maggior consapevolezza. Alla fine di tutto c’è un Epilogo. Ma, alla fine, che cos’è un Epilogo se non un Prologo per qualcos altro?

P.S.: volevamo davvero chiamarla “Prologo” ma avevamo paura che le persone ci dessero degli ignoranti credendo che non sapessimo la differenza tra i due vocaboli.

Parliamo del prossimo tour. Avete qualche anticipazione da darci? Vedremo dei cambiamenti sul palco legati al vostro nuovo mood?

Charlie: sicuramente ci sono dei cambiamenti. Innanzitutto l’entrata nella band del Fede, che si inserisce anche nelle backing vocals insieme a me, porta ad avere questo fronte palco compatto e diretto verso lo spettatore. Ancor più appariscente è il cambiamento di situazione gestita da Mich, che gestisce tutta la parte elettronica (prima lasciata al Brambo) e suona dal vivo anche parte dei synth. Secondo me la formazione ne risulta più compatta ma al tempo stesso più fruibile da chi è sotto palco, siamo tutti lì davanti, siamo tutti in prima linea, cantiamo, balliamo. E’ bello.

Mich: Charlie ha risposto prima di me a questa domanda e direi che è stata stra-esauriente! Vi aspettiamo ai nostri prossimi live!

Chiara Orsetti

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