“Ciao, siamo una band di Napoli. Ci chiamiamo “Muri di carta”, facciamo post-rock con voce parlata. Abbiamo appena registrato e stampato il nostro primo ep autoprodotto. Dategli un ascolto se vi va”. Questa la scarna autopresentazione dei Muri di Carta, band che mette su Ruggine, l’ep d’esordio, quattro brani piuttosto crudi.
Il disco è stato registrato e mixato da Francesco Giangrande, tranne le tracce di batteria, registrate da Carlo Di Gennaro al Kammermuzak Studio. Mastering di Davide Barbarulo al 20Hz20Khz Mastering Lab. Artwork di Alessia Della Ragione.
Muri di Carta traccia per traccia
Si parte dall’Intro, che ha un battito sottile e il basso a comandare il discorso sulle prime. Con l’arrivo delle chitarra il discorso si fa più rumoroso e intenso.
Senza soluzione di continuità si passa a Mio simile, primo brano con voce parlata (anzi, recitata), sul testo della traduzione di Au Lecteur di Baudelaire; nel deserto lasciato dalle parole si insinuano chitarre all’inizio non troppo invadenti, ma poi si va in crescendo.
La notte più breve modera il passo ma non la quantità di disperazione, ricorrendo di nuovo al recitato per raccogliere un racconto piuttosto funesto, quelloriguardante la storia del giornalista e critico musicale pugliese Pierpaolo Faggiano, organizzatore per di un importante festival indipendente di musica jazz a Ceglie Messapica, in Puglia, morto suicida a quarantadue anni. Ruggine, la title track dell’ep, concede un attimo di tregua dal punto di vista musicale, sulla base di un drumming ritmato ma contenuto, e con il basso di nuovo a giocare la parte del buon protagonista, mentre il testo tinteggia un’altra storia tra il cupo e l’assurdo.
Quattro canzoni non sono moltissimo per tracciare un giudizio completo: quello che emerge dall’ep piace, magari per il futuro può essere possibile osare anche di più dal punto di vista strettamente musicale, mentre si possono soltanto spendere elogi per i testi, coraggiosi e abrasivi.