Dalla sua residenza sull’isola di Wight, il cantautore Paul Armfield ha appena pubblicato il nuovo disco, Domestic. Gli abbiamo rivolto qualche domanda.

Partiamo dalle sensazioni “casalinghe” del disco: perché “Domestic” e perché questa necessità di “casa”?

Prima di scrivere il disco ho passato gli ultimi tre anni gestendo un Centro Culturale qui sull’isola di Wight e non ero praticamente mai a casa. Ma adesso mi sto godendo il mio auto-isolamento, con i figli all’università e mia moglie al lavoro sono finalmente da solo a casa ed è fantastico. Poi aggiungici la Brexit e la crisi dei rifugiati in Inghilterra ed è venuto quasi naturale che le mie canzone fossero incentrate sul concetto di “Home”, una parola che non ha il suo corrispettivo italiano che indichi non soltanto la casa ma anche la tua città e la comunità a cui appartieni. Non ho usato la parola “Home” per il titolo perché sembrava troppo nazionalistico, “Domestic” rappresenta meglio la sensazione che volevo rappresentare.

Ci racconti qualcosa di più rispetto al suono di questo disco, che mi sembra molto compatto ma anche portato più a sussurrare che ad alzare la voce?

Se gridi gli altri grideranno più forte per farsi sentire, se sussurri gli altri si zittiranno per ascoltare cosa dici, preferisco usare il mio vocione durante i live per creare un climax. Ho iniziando cercando di cantare sullo stile di Chet Baker o Nat King Cole ma da quel punto di partenza ho costantemente cercato di evolvermi.

Qual è la tua visione riguardo alla pandemia che sta affliggendo tutto il mondo? Ha avuto qualche influenza sul disco?
Le canzoni sono state registrate prima della pandemia in Germania, con musicisti tedeschi e italiani ma una canzone in particolare – “I’m not here” – ha acquistato una particolare risonanze alla luce di quanto avvenuto successivamente, parla di auto-isolamento e adesso sembra avere un significato ancora più potente.

Conosci qualcosa (e ti piace qualcosa) della musica italiana?

L’Italia ha una grandissima tradizione cantautoriale, il mio chitarrista Giulio Cantore mi ha fatto conoscere Roberto Murolo e me ne sono profondamente innamorato. Adoro De André e mi piacerebbe un giorno registrare una delle sue canzoni. Anche lui trae grandi ispirazione dai chansonniers francesi, in particolare Georges Brassens, di cui ha realizzato una magnifica cover de Il Gorilla. Inoltre amo Luigi Tenco e qualche volta nel mio set aggiungo una delle sue canzoni. Ma penso di conoscere solo superficialmente la musica italiana e non vedo l’ora di addentrarmi più in profondità.

Com’è la situazione dei live dalle vostre parti? Riuscirai a portare in giro il disco nuovo?

La situazione in Inghilterra è ridicola. Le ultime linee guida governative in un paragrafo autorizzavano i concerti indoor e nel successivo li vietavano. Ho fatto qualche piccolo concerto all’aperto e qualche live stream show ma ovviamente spero di fare un tour come si deve, un disco è sempre un grande investimento e se non riuscissi a promuoverlo live il prossimo autunno/inverno sarebbe un grande problema, anche in vista della Brexit che in futuro potrebbe rendere ancora più difficoltoso suonare all’estero.

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