Registrato nel tardo autunno del 2014 negli Orange Studios di Bill Laswell nel New Jersey, Machine Language è l’ultima e più ambiziosa opera realizzata dal compositore e sassofonista Bob Belden con il suo gruppo storico Animation prima della sua morte, avvenuta il 20 maggio scorso.

Machine Language si può definire un’opera jazz cyberpunk, totalmente immersa nel tessuto della fantascienza “filosofica” e impegnata a dare risposte sugli eventuali e possibili sentimenti di una macchina. Belden ha arruolato Bill Laswell al basso elettrico e Kurt Elling come voce narrante.

Animation traccia per traccia

Sulle prime, una tromba pressoché solitaria che alza le proprie note al di sopra di un panorama piatto. Ma poi emergono una voce che racconta e suoni di varia natura che rivelano movimenti semisotterranei. Questo l’incipit del disco, affidato a A Child’s Dream, che ci porta in un’atmosfera piuttosto bladerunneriana.

Ma lo scenario si fa più oscuro con l’intervento del basso in Machine Language, la title track, in cui interviene anche un drumming “sporco” e scomposto. Le numerose evoluzioni del basso fanno da guida nel buio della traccia, che lascia il posto a Eternality, in cui la voce torna a narrare e la tromba interviene di nuovo a tracciare linee un po’ più disperate.

Il basso di Laswell si fa più elettrico e anche più aggressivo in Consistent Imperfection, con tastiere che si occupano di controbilenciare in alto ciò che il basso disegna nelle locazioni inferiori della scala. Soul of a Machine riporta alla ribalta il dialogo voce-tromba, con toni che si fanno sempre più accorati.

Genesis Code torna a conferire ritmi molto accentuati al discorso, ma questa volta è la tromba a tenere dritta la barra, almeno fino all’ingresso del sax, in uno dei pezzi cardine dell’album. I ritmi vibranti del pezzo precedente lasciano spazio ad atmosfere molto più calme, ma non rilassate, con Evolved Virtual Entity, e di qui si passa a DisappearAnnihilation, in cui il basso torna ad assumere un ruolo centrale.

The Evolution of Machine Culture si muove su due piani diversi: la tromba suggerisce un movimento verso l’alto che però si scontra con le esigenze della sezione ritmica. Il conflitto appare inevitabile, e infatti esplode nella seconda parte, piuttosto schizofrenica, del brano.

Lo scontro non appare risolto nemmeno in Dark Matter, che gode di ritmi molto concitati e di una tromba particolarmente acida. Altri movimenti, per lo più intestini, si alternano sotto la superficie, per un pezzo di grande forza e impatto.

La TechnoMelancolia abbraccia poi l’ascoltatore, portando verso la fine del racconto su toni cupi. Si chiude con A Machine’s Dream, che ritorna a disegnare su un panorama per lo più desolato, come a chiudere un cerchio dopo un viaggio mentale piuttosto impegnativo.

L’unica critica che ci si sente di muovere all’album è che lo schema di tutti e dodici i brani appare più o meno lo stesso, con qualche differenza tra la prima e la seconda metà, più corale, del disco, ma senza eccessive variazioni. Tuttavia il livello dei musicisti coinvolti è altissimo e il romanzo, purtroppo l’ultimo, scritto da Belden per mezzo di questo disco è di tale livello che si può perdonare tutto.

Se ti piacciono gli Animation assaggia anche: Free Nelson Mandoomjazz, “Awakening of a Capital”

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