I Démodé sono sei giovani musicisti del Friuli-Venezia Giulia. O meglio, come amano definirsi, una “pocket-size orchestra”, un’orchestra da taschino composta da violino (Francesco Zanon), clarinetto (Andrea Zampieri), sassofono (Claudio Colacone), pianoforte (Luca Laurina), basso (Carin Marzaro) e batteria (Alberto Zenarolla).

La band suona musica strumentale che mette insieme jazz, progressive, folk, rock. E anche per questo hanno una definizione originale: “liscio d’avanguardia”. Il loro ultimo album è ISON, terzo album in studio, che prende il nome dalla cometa C/2012 S1 che ha attraversato i cieli alla fine del 2013. “Tra distruzione e creazione, le comete sono simbolo di metamorfosi: in questo caso, il suo passaggio è coinciso con un periodo di rinnovamento profondo per la band”.

Démodé traccia per traccia

Si chiama La Fuga il primo brano dell’album, un riferimento classico che però non trova attuazione in un pezzo, che sprigiona anzi le sonorità di un jazz moderato ma con ritmo. La ritmica è serrata ma le ricadute sono tutte nel campo del jazz della tradizione (lo dico per gli amici del math rock): altrimenti, perché chiamare “Démodé” la band?

Forte di un buon movimento di basso, la title track Ison attraversa periodi differenti fra loro e anche molto fluidi: tutti gli affluenti si incontrano nella seconda parte del brano, sotto l’egida di un pianoforte vivace ma stabile. E’ il clarinetto a guidare le danze di Arturo, mentre in Memento è protagonista il sax, all’interno di un discorso orchestrale molto morbido e notturno.

L’umore rimane lo stesso anche per la soffice Nuances, anche se il peso della guida risulta distribuito in modo più equo tra gli strumenti, con un movimento a salire molto graduale. C’è di nuovo un’ottima performance del basso da sottolineare all’interno de Il sentiero incantato, passaggio ritmato e in qualche modo avventuroso.

Buone le linee melodiche de Il papiro di Ani (meglio noto come “Il libro dei morti” dell’antico Egitto), suite costruita sulle insistenze del pianoforte ma anche sulle sfumature dei fiati. Sentimenti sotterranei quelli di Split Inside, anche se le correnti spesso emergono con forza alla superficie, anche grazie a un drumming piuttosto convinto e a un finale molto veemente con la partecipazione di tutti gli elementi.  Charlotte è una pièce che si tiene in una balera di tango, o giù di lì, con notevoli partecipazioni di sax, pianoforte e un violino dedito al vibrato.

Molto curiose le fasi attraversate dalla Luna indiana, che alterna ritmi sincopati con approfondimenti di violino (un po’ tzigano e un po’ isterico). Il finale è anche più curioso: Zucchero sotto sale salta con disinvoltura dalle influenze progressive a quelle balcaniche, dai King Crimson a Goran Bregovic, gettando nella mischia anche alcune idee di Sudamerica.

Piacciono personalità, idee, esecuzione e lavoro di squadra. Il tutto suona, come detto, piuttosto tradizionale e non troppo innovativo. Ma la qualità è abbastanza alta da farsene rapidamente una ragione.

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