Annunciato come un disco profondamente diverso dai precedenti il nuovo di Leo Pari si chiama Spazio. Qualche influenza fantascientifico/astronomica (per esempio in Werther) si può anche leggere, ma il disco è soprattutto un omaggio agli anni 80, non a quelli di Cecchetto ma a quelli di Battisti e del synth pop.
Leo Pari traccia per traccia
Si parte da Bacia brucia ama usa, utilizzo compulsivo di verbi d’azione che introduce una canzone pop a tutto tondo, ma con chiare influenze autorali (leggi, come da dichiarazioni programmatiche, “Lucio Battisti”). Impressioni confermate, con qualche aiuto dal synth, ne I piccoli segreti degli uomini, sboccata ma anche intima al tempo stesso.
Si prosegue a velocità alte con Ave Maria: qui, oltre a Una donna per amico, si può leggere anche l’impatto della new wave italiana (niente free jazz punk inglese però) e del synth pop internazionale, più vicino agli 80s che ai 10s. Si passa a Werther, come sonorità forse non molto vicina a Goethe ma di sicuro fantasiosa, con il sintetizzatore a occupare la scena, supportando la voce.
Si passa poi ad Arnesi, ritmo medio e considerazioni curiose nel testo, prima di approdare a Non ci ruberanno mai, che rivela qualche scintillio sonoro e un groove crescente che fa quasi pensare a riferimenti disco dance.
La Seconda volta acquista suoni pianoforte e un andamento medio che va d’accordo con una struttura un po’ più tradizionale. Si procede con la tranquilla ma apocalittica La fine del mondo, che si cimenta di nuovo con sonorità “spaziali”. Si procede con I cantautori (“I cantautori sono i depuratori della società”) che gioca con echi e sussurri, con un mood leggermente schizofrenico.
Si chiude con Dove sei finita tu: anche in questo caso la struttura del pezzo è tutt’altro che rettilinea, con il drumming che si impone come protagonista dettando i ritmi un po’ a stop and go del brano.
Buono l’esperimento di Leo Pari, che risulta molto convincente nella prima parte del disco e leggermente in calo nella seconda, ma consegue l’obiettivo di pubblicare un disco interessante e affascinato da sonorità “antiche” senza rimanerne vittima.