Quattro anni dopo Bani Ahead, riecco gli Slivovitz: il sestetto napoletano pubblica All You Can Eat, una proposta alimentare che conta nel menù influssi jazz, progressive e più o meno tutti condimenti che ci si può inventare.

Slivovitz traccia per traccia

Si parte da Persian Night, un luogo comune letterario sviluppato con abilità sinuosa, sulle linee del basso che si insinua sotto la pelle della canzone, tenendo gli strumenti “alti” ognuno al proprio posto.

Ancora il basso in evidenza, ma anche un andamento che privilegia il violino e le modalità del jazz all’interno di Mani in faccia, a tutti gli effetti aggressiva ma senza essere violenta.

Yathzee invece si delinea con movimenti un po’ meno jazz e più orchestrali, come se si trattasse di una piccola sinfonia (neanche tanto piccola, visti i sette minuti abbondanti) in crescendo morbido.

Più rapida e con movimenti piuttosto ruggenti sotto il cofano Passannante (Giovanni Passannante fu un anarchico che attentò alla vita del re Umberto I, così amato dal popolo che alla fine fu un altro anarchico, Gaetano Bresci, a ucciderlo. Passannante subì un’incarcerazione così dura e spietata che alla fine impazzì).

Barotrauma si presenta con una facciata più ironica, pur senza rinunciare a spunti di inquietudine. Un Hangover (leggi: postumi della sbronza) piuttosto triste quello che segue, con i fiati a guidare attraverso un pezzo dai ritmi e dai volumi in aumento, ma che cerca palesemente di non fare troppo rumore. Nella parte finale il violino interviene con insistenza.

Molto più acido l’approccio di Currywurst, con un’apertura baldanzosa che tiene alto il ritmo e il tono del brano, anche grazie all’intervento prolungato dell’armonica a bocca. Il brano poi si spacca in due con una coda meno giocosa e più drammatica.

Oblio chiude l’album su toni melodici, almeno all’inizio, con uno sviluppo che mette poi faccia a faccia sax e chitarra, come dire lato più rock e lato più jazz, riuscendo ad armonizzare gli istinti in modo mirabile.

Gli Slivovitz, attivi dal 2001, hanno raggiunto livelli di maturità e coesione tale che non stupisce l’attenzione che hanno sollevato anche all’estero. Difficile dire se si tratti del loro lavoro migliore, sicuramente “All You Can Eat” si segnala per una notevole fluidità e per essere un disco indubbiamente molto ispirato.

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