Definiscono “grunge caraibico” (che è come dire “valzer africano” o “ska giapponese”) il proprio suono, ma al di là delle definizioni The Hangovers, dopo svariate esperienze di vita e di musica live, arrivano al proprio esordio con Different Plots.
Il disco del quartetto bolognese è caratterizzato da dieci canzoni, equamente distribuite tra testi italiani e inglesi, fortemente influenzate dal folk e dal pop britannico di almeno tre decadi.
The Hangovers traccia per traccia
La prima traccia è Invece no, un sostanziale soliloquio in vena new folk, baldanzosa ma anche riflessiva, con un tentativo di conciliazione di opposti che non sarà l’ultimo del disco. L’umore è leggero anche con Un anno fa, che salvo un intermezzo reggaeato scarica le proprie tensioni attraverso sei corde e fiati.
Il caratteristico cling-clang della chitarra ritorna anche con Qui da me, debitrice del folk così come del sound in antico stile Byrds. Molto più british (ma sempre un po’ Sixties) l’ascendenza di Postumi della viltà, che mette in giusto risalto la vocalità e i cori e che inserisce anche qualche spunto elettrico a variare un percorso piuttosto interessante, che anche in questo caso include i fiati.
Canto a cappella e battimani aprono Ogni sera, che dopo le prime battute si apre a furibonda danza folk, che prevede però anche pause più riflessive. Sinner apre il “lato B”, quello dedicato ai testi in inglese, con un atteggiamento meno giocoso e più calato in discorsi di frontiera, ove si intenda la frontiera per quella del Far West.
It’s on conserva un certo mood malinconico, con i fiati che in questo caso sottolineano un ritornello piuttosto di cattivo umore. Anche I’m all right si conferma nel lato negativo della luna, ma costruisce una melodia più che apprezzabile, arricchita da un intervento di chitarra elettrica piuttosto cospicuo.
La chitarra elettrica si occupa di aprire le danze di Curse the Day, nuova cavalcata nel deserto con un buon riff e buoni punti di riferimento. Si chiude con la title track, Different Plots, morbida di partenza ma con piccole esplosioni controllate ad animare il sound del pezzo, che ha qualche tentazione epico-orchestrale tenuta sotto controllo.
Disco piacevole e molto continuo, questo di The Hangovers, che non scontano la pressione dell’esordio e presentano dieci pezzi convincenti e ben suonati. La scelta di separare di netto canzoni in inglese e in italiano può sorprendere, ma il sound della band tiene insieme i fili dell’album in modo ammirevole.
Se ti piacciono The Hangovers assaggia anche: Ex-Otago, “In capo al mondo”