Retrophil: creare qualcosa che sembri leggero ma abbia dentro del peso specifico

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Fuori dal 23 maggio Gentlemanager, il nuovo singolo di Retrophil disponibile su tutti i digital store. Seguendo la linea dei precedenti brani, tra cui Felini e contenti, l’artista racconta con ironia la “vita aziendale” tra pop ed elettronica.

Gentlemanager è un titolo che fa subito sorridere, ma ascoltando bene lascia anche l’amaro in bocca. Quanto conta per te l’ironia come strumento per dire cose serie?

Conta tantissimo. Gentlemanager è una parola che mi sono inventato apposta per questo pezzo: unisce “gentleman” e “manager”, perché oggi va di moda essere disponibili, carini, comprensivi… ma solo se c’è qualcosa da ottenere in cambio. Nulla è un gesto gratuito.

Ho pensato: già che l’economia si sta mangiando pure i rapporti umani, perché non creare direttamente una nuova figura professionale? L’amico a pagamento, con soft skill relazionali, disponibilità H24 e tariffario allegato.

E la cosa buffa è che, nel mondo della musica (ma anche in tanti altri ambienti), questi “gentlemanager” esistono davvero: quelli che ti stanno vicini se porti numeri, ma spariscono appena smetti di essere riconosciuto. Perciò, se qualcuno là fuori è interessato… si accettano candidature per il ruolo! Basta saper volere bene in modo strategico.

Lavori spesso su più livelli: il sound ti fa ballare, ma il testo ti fa pensare. In fase creativa, da dove parti: dalla musica o dalle parole?

Dipende: a volte parte un synth e mi viene voglia di scrivere come se fossi in una corsa su Mario Kart, altre volte sono le parole a bussarmi in testa tipo “Ehi, siamo qui, scrivici addosso!”. Però il punto è sempre uno: creare qualcosa che sembri leggero ma abbia dentro del peso specifico. Come i gatti: morbidi fuori, ninja dentro.

Gentlemanager sembra parlare di un mondo dove anche l’amicizia è diventata una fattura. Cosa ti spaventa di più della società di oggi?

Mi spaventa, come già detto, che stiamo perdendo la gratuità. Il bene all’altro perché c’è. Che se non porti like, utilità o performance, sei fuori dal radar. L’amicizia, l’amore, perfino il tempo libero… sembrano startup da monetizzare. Siamo diventati tutti un po’ manager di noi stessi: con la paura di “non rendere abbastanza”, anche quando stiamo solo respirando.

E il paradosso è che più ci ottimizziamo, più ci sentiamo vuoti. Se continuiamo così, tra un po’ per chiedere “Come stai?” dovremo prima fissare un appuntamento su Google Calendar.

Sei un nerd dichiarato. Qual è il videogioco, film o fumetto che ti ha influenzato di più anche artisticamente?

Intanto diciamolo: oggi “nerd” è diventato finalmente un termine positivo — e direi anche con pieno merito. Come spesso capita, all’inizio chi ha una visione un po’ diversa viene frainteso, preso in giro o messo da parte. Poi però il tempo fa il suo lavoro da galantuomo, e quello che sembrava “strano” diventa interessante, stimolante… a volte pure di moda (ma io ci tengo a dire che ero nerd prima che fosse cool!).

Parlando di videogiochi, sono cresciuto a pane e picchiaduro: Street Fighter, Tekken, Mortal Kombat, King of Fighters… ore passate a memorizzare combo impossibili e a sfidare amici come se fosse questione di onore familiare. E quella roba, in fondo, ti segna: ti abitua al ritmo, al tempismo, al fatto che ogni mossa ha un suono, un peso e una conseguenza. È quasi musica da joystick.

Tra i film, oltre al sempreverde The Truman Show (che per un artista è praticamente un cult), penso a Matrix e Terminator: due modi diversi ma potentissimi di raccontare l’incontro/scontro tra umano e macchina, tra libertà e controllo.

Rispetto a quelle visioni, sono un ottimista: credo che un rapporto sano tra l’uomo e l’intelligenza artificiale sia possibile, a patto che l’umano non si dimentichi di esserlo. La cosa che mi preoccupa di più, infatti, non è una ribellione dei robot… ma l’indifferenza delle persone, il fatto che a volte la fine del mondo sembri già arrivata e nessuno se ne accorga, perché troppo occupato a fare il “gentlemanager” della propria esistenza.

Paradossalmente, credo che siano proprio i gatti e le macchine a poterci aiutare a restare, o magari tornare, umani. I primi perché ti osservano e capiscono tutto senza dire una parola, le seconde perché ti mostrano cosa succede quando perdi l’anima.

Quanto ai fumetti, più che un titolo solo, dico una cosa che mi sta a cuore: oggi i fumetti sono uno strumento eccezionale. Ti obbligano a rallentare, a osservare, a leggere tra le vignette. In un’epoca in cui tutto è “reel”, cioè velocissimo e spesso inconsapevole, il fumetto è quasi un atto di resistenza: una fruizione lenta e consapevole, che allena la mente e apre l’immaginazione.

Hai mai pensato di unire direttamente la tua passione nerd con la musica? Tipo un concept album ispirato a un universo immaginario?

La mia vita è già tutta “unita”! Non riesco proprio a separare le cose: non c’è nulla di umano che non mi interessi, e per me l’arte — e la musica in particolare — è proprio la possibilità di esprimere il tutto che abbiamo dentro in un particolare. Nel mio caso: una canzone. Una strofa, magari buffa o malinconica, ma che si porta dietro un mondo intero, anche quando dura solo due minuti e mezzo.

Se un giorno l’ispirazione dovesse venire a cercarmi, magari con una chiavetta usb contenente un concept album fantasy-filosofico-punk-nerd… tranquilli: mi lascerò trovare. E ovviamente risponderò con le armi di Retrophil: parole ironiche ma vere, ritmi che fanno muovere il corpo e — speriamo — anche un po’ il cuore.

Hai pubblicato il tuo primo singolo nel 2021: in questi 4 anni, qual è la cosa più importante che hai imparato su te stesso?

Che la voce più difficile da sentire è la propria. In mezzo al frastuono di “fai questo”, “diventa quello”, trovare la propria frequenza è come cercare il Wi-Fi in una galleria. Ma quando la trovi, anche solo per un momento, senti che sei dove devi essere, anche se il percorso è ancora lungo.

Negli anni ho imparato anche a vivere tutto con più serenità. Perché se siamo al mondo, è per dare un contributo unico. Magari piccolo, magari incompreso da qualcuno — ma non è una questione numerica.
Il riconoscimento di poche persone vere vale molto più della standing ovation di un mondo finto. E la cosa bella è che, in realtà, non siamo pochi.

Un tempo si parlava di “maggioranza silenziosa”. A me piace pensare a una maggioranza musicale: fatta di gente che ascolta, che sente, che sogna. E che non ha bisogno di gridare per esistere — basta che canti.

In tutto questo, grazie al lavoro con Spenillo e lo staff che è fondamentale! Il nostro è un team che non solo sa cosa fa, ma ti fa sentire a casa… tipo casa di quelli che ti fanno anche il caffè e non ti giudicano se ti viene un’idea alle 2 di notte. C’è un clima che ti fa venir voglia di rischiare, di divertirti, di essere te stesso.
Mi prendo il merito (e la responsabilità!) dell’ispirazione, ma la bellezza del risultato è tutta frutto di una squadra.

Pagina Instagram Retrophil

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