Si chiama Saturno il primo full length di Simone mi odia, il progetto solista di Simone Stopponi (Petramante, Pedro Ximenex). L’album è prodotto da Lorenzo “Buzzino” Corti (chitarrista per Nada, Cristina Donà, Le luci della centrale elettrica, DeltaV, Cesare Basile, Dimartino, Giulio Casale).

Cantautorato ma senza integralismo: Simone si muove fra sonorità che si possono definire “contemporanee” ma dà l’impressione di dare il giusto peso a musica e testi.

Betoniera apre il disco con ritmi e suoni medi, senza strappare troppo in nessun senso, ma con un la chitarra che mantiene il brano piuttosto inquieto.

Sempre la chitarra si incarica di aprire Da qualche parte, ritmo irregolare ed episodi di vita. Cuori quadri fiori picche invece fotografa momenti più cupi, con una ballata di carattere malinconico che finisce in psichedelia.

Qualcosa degli Eels, qualcosa di Lucio Dalla ne La nuvola e la fragola, che parte minimalista ma poi apre le proprie vedute con la chitarra elettrica.

Dopo la ripresa strumentale di Da qualche parte, anch’essa preda di tentazioni psichedeliche, parte acustica I consigli del ragno, molto morbida e intimista (del resto è difficile fare gli esotroversi quando si dialoga con un ragno).

Anima di blues elettrico per Uno famoso, curioso episodio discografico con spunti divertenti. Molto seria invece Non dirlo a nessuno, con sonorità in leggero crescendo, ma senza fare chiasso.

Si chiude con una cover elettrica di Com’è difficile, firmata da Luigi Tenco: il senso di delusione proprio di molte delle canzoni del cantautore di Cassine è qui riprodotto con un tocco di leggerezza.

La sensazione di equilibrio è quella prevalente: mai troppo allegro, mai troppo disperato, mai troppo elettrico, mai troppo acustico, Simone mi odia riesce a rimanere equidistante dagli eccessi senza perdere in personalità. E forse sì, la terza canzone dell’album è la migliore, ma anche le altre non sono niente male.