Torna #shortraks, con tre recensioni di dischi che potresti esserti perso. Ma noi siamo qui apposta e oggi ti parliamo di Sàrgano, The Winonas, Pitchtorch

Sàrgano, T

Sàrgano è una varietà di ulivo che si è sviluppata nel sud delle Marche, proprio come i componenti della band che ruota attorno al cantante Filippo Piunti. Registrato in parte negli studi LOADistrict di Roma T arriva a quattro anni di distanza da Sàrgano ep ed è un concept album incentrato sui vari significati della parola chiusura. Si parte dalle molte oscurità di Stato possibile, sorta di post rock cantato, con un ritmo controllato e l’educazione dei figli al centro del discorso. Beat e rumori industrial quelli di D’agosto, che non esce dall’oscurita neanche per raccontare delle ferie estive.

Giacomo Giacomo parla di relazioni problematiche e di ginocchia ballerine. Le influenze di Massimo Volume e band consimili si materializzano nel recitato finale. Più malinconica ma non meno inquietante Chang, ritratto in toni molto cupi. Influenze quasi orientali nell’insinuarsi della chitarra fra le tinte soffocanti di Non rimane che il mare. La title track T accoglie una chitarra che offre un po’ di cling clang, presto sommerso dal volume complessivo di un brano aggressivo.

Un po’ più rumorosa e portatrice di rock più diretto Un fiore di merda, non tanto gentile e molto indie rock anni ’90. Solo all’apparenza si fa acustica e quasi post grunge, a parte il ritmo da marcetta. Problemi di ritardo e riff insistenti in Stone hero. Si va verso il finale con le contorsioni interne di Bacia Milano, prima che Latina chiuda il lavoro con pianoforte, falsetto e sapori d’addio. Un disco che non scappa di fronte agli incubi, l’esordio dei Sàrgano, talentuosi e interessanti. Le tinte chiare rimangono lontane da un album denso e buio, ma le idee sono limpide e ben determinate.

Genere: rock alternative, post rock

The Winonas, Arborea ep

Dopo un album dal sapore molto lo-fi (Sirene, 2015) e una serie di concerti in giro per l’Italia e il Nord Europa, le Winonas tornano con l’ep Arborea, che esce per Vaccino Dischi. Un ep da sei canzoni che parte in modo decisamente inquieto, con Vorrei, pezzo post grunge oscuro e magmatico.

Si passa poi al caldo di Maglione, forte di chitarre e di idee semplici e anche piuttosto ruvide. Figlia dei Nirvana e del loro memorabile Unplugged ecco Ragazzo morte, ipnotica e nera. Risonanze lunghe e molta nebbia malinconica nei giri di chitarra e nella voce de Il mio giardino. Il velo è piuttosto acida, sia come testo, che è sostanzialmente un’invettiva, sia come suoni. L’ep si chiude Senza un perché, cioè con un brano un po’ più aperto e descrittivo. L’eco di Seattle è forte nelle note delle Winonas, soprattutto in un ep molto cupo. Non sarebbe male sentirle cimentarsi anche con sonorità differenti per vedere (ascoltare) l’effetto che fa.

Genere: post grunge

Pitchtorch, Pitchtorch

Pitchtorch è il nuovo progetto che “accorda” assieme, per la prima volta, tre musicisti, di base tra Firenze e Milano: il chitarrista, compositore e session player Mario Evangelista (attivo in The Gutbuckets e altre formazioni, oltre che autore di musiche per cortometraggi e pubblicità), il bassista e contrabbassista Danilo Gallo (un terzo dei Guano Padano, in compagnia di Alessandro “Asso” Stefana e Zeno De Rossi) e il batterista Marco Biagiotti (nelle fila del quartetto indie psych-pop The Vickers).

Il disco Pitchtorch dei Pitchtorch si apre con Pitchtorch: al di là della ricorsività dei titoli, il brano ammicca a un’intro da desert rock, evocativa e assolata. Perfectly in tune introduce il cantato e mostra un volto alt-rock tutto sommato convinto e tranquillo, tolte le urla finali. Molto più intimi gli atteggiamenti di Pictures are going wild, mentre con Dear Old Seagull ci si concentra sulle tristezze suggerite dalla chitarra, in una ballata un po’ marinara. Not on Sunday si allarga un po’, introduce il banjo, si affilia al folk.

Un lungo strumentale come Seashore introduce all’ultima parte del disco. La segue Beetwen You and Me, ballad delicata ma destinata a dilatarsi in modo psichedelico e ipnotico. Si chiude con un ultimo strumentale, Actually is fading, punteggiata da piccoli suoni che si inseriscono su pianure sonore molto vaste. Davvero un bel lavoro quello dei Pitchtorch, che prendono suggestioni sonore antiche e le trasformano secondo la propria sensibilità, trasportandole al presente e rendendole molto vive.

Genere: alternative rock, folk

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