Strueia, “Il bosco la chitarra lo spleen”: la recensione

“Credo che il filo conduttore di questo disco sia la malinconia”. Strueia commenta così il suo ultimo album, pubblicato qualche giorno fa da MiaCameretta Records e Noia Dischi, dal titolo Il bosco la chitarra lo spleen. Il tutto è costituito da tre elementi, diceva Telesio. E quelli scelti dal cantautore sono quelli che effettivamente connotano il disco.
Il bosco, perché proprio dai fruscii delle passeggiate in mezzo alla natura, durante le quali l’autore ama riflettere “sull’universo, sul senso della vita, sui cazzi miei”, sono nati i suoni che sono stati inseriti nell’album per gioco, e poi ci sono rimasti per scelta. La chitarra, o meglio, le chitarre. Perché sono state incise una sull’altra, per creare stratificazioni sonore dense e variegate. Lo spleen, infine. Cioè la malinconia, intesa come tristezza meditativa, come una passeggiata nei boschi in autunno, e magari con la chitarra in mano.
Per Strueia questo è il terzo album da solista, manco a farlo apposta. Il bosco la chitarra lo spleen è un album minimalista e affascinante, che affonda le radici nell’indie rock elettronico, che a volte sembra David Bowie, ma che ama la poetica di Elvis Presley, e l’estetica lo-fi dei Velvet Undreground. E fa tutto questo senza mai scomporsi.
Strueia traccia per traccia
Il primo brano è Canzone con due note, di nome e di fatto. Si alternano due accordi di chitarra, in loop, a cui sono stati aggiunti e amalgamati altri suoni, più graffianti, che danno vita a una melodia che potrebbe ricordare la sigla di Twin Peaks. Si passa poi ad Agosto, dove le chitarre giocano, si rincorrono, si sovrappongono. La malinconia permea il brano per tutti e quattro i minuti. Sulla stessa scia, Canzone per gli amici che se ne vanno, dove le chitarre si accompagnano splendidamente ai synth. Quello che si crea è l’habitat giusto per riflettere sulle persone che si allontanano: alcune fisicamente, altre per inseguire il proprio quotidiano.
Da soli è di nuovo terra di riflessioni. Un registratore abbandonato nel bosco ha registrato i suoni che creano il sottofondo di tutto il brano, che, più degli altri, rende omaggio al titolo del disco, in effetti. Il bosco, la chitarra e lo spleen sono connessi, inequivocabilmente, nella storia raccontata, una storia di allontanamenti e lontananze: poi cosa ci resterà, fotografie minimal chic, grappoli di cefalee e l’odore dell’hashish in camera tua.
L’attacco di Una coppia stupisce, per il ritmo molto più vigoroso rispetto agli altri brani, per il giro di basso coinvolgente, per il sound , e per la storia che racconta. Una coppia, sul tram, ascolta musica insieme, dividendosi le cuffie degli auricolari. Un gesto romantico, in teoria. Ma è evidente che i due non sappiano nulla di stereofonia.
Passa la metà album, ed è la volta di un intervallo musicale, se così si può definire, dal titolo Tutto ok. Anche qui notevole il giro di basso, che si accompagna a sonorità ricercate.
Canzone degli alberi affascina e coinvolge da subito. Appena attacca, sembra un pezzo del Duca Bianco. Poi no. Poi lo sembra di nuovo. Sarà l’atmosfera sognante, come gli alberi l’inverno, che chi li trova tristi ancora non li ha visti.
Wow! inizia con un basso interessante, passa attraverso chitarre dense, si sofferma sugli echi del cantato, tra sogni lucidi, e arriva al sax che chiude il pezzo in maniera del tutto inaspettata. È poi la volta di Canzone del Binge Watching, ovvero la versione moderna dello spleen baudelairiano: pigiama e serie tv, c’è ancora il sole lì fuori, l’attesa passiva che vengano i tempi migliori. I riverberi si intrecciano al disagio. E stanno bene insieme.
Il disco si chiude con Saluto al sole, traccia nuovamente strumentale, frutto di una giornata di registrazioni più o meno intenzionali condensate in poco meno di due minuti.
I luoghi, le atmosfere e i suoni che hanno influenzato Strueia sono ben riconoscibili, e contribuiscono a rendere il risultato perfettamente allineato con l’intenzione di chi lo ha creato. Un disco interessante, studiato, e musicalmente ben confezionato.
Chiara Orsetti