Visionoir: intervista e recensione

Il progetto Visionoir è attivo dal 1998. Puoi riassumere le fasi salienti della tua storia fin qui?
Visionoir è il nome che dal 1998 accompagna la mia attività musicale solista: si può dire che sia un mio vero e proprio alter ego. Dopo aver prodotto un primo demo nel 1998 dal titolo Through the inner gate, ben accolto dalla stampa metal, il progetto è rimasto dormiente essendomi unito a diverse band nel corso degli anni ( Blind Mirror, Magique Entropy Studio e altre).
In realtà ho sempre continuato negli anni a comporre musica per me stesso e studiare un po’ tutti gli strumenti, compresa la batteria: è proprio dal materiale scritto nel corso degli anni che ha preso forma e vita l’album di debutto, dopo un intenso lavoro di cernita, rielaborazione e arrangiamento di riff e idee archiviate nel tempo, arricchiti da improvvisazioni soprattutto tastieristiche realizzate in fase di registrazione.
Quali sono state le difficoltà maggiori che hai incontrato nel realizzare il disco, che so aver attraversato fasi differenti?
Essendo il materiale stato composto in momenti molto lontani nel tempo, la difficoltà più grande è stata dare vita a un opera che avesse una sua identità e non risultasse troppo eterogenea: ho dovuto quindi sacrificare pezzi che a loro tempo erano molto convincenti, ma non si confacevano alla nuova impronta progressive essendo ancorati nella tradizione gothic del mio esordio.
Ci sono voluti circa due anni per riprendere e riarrangiare idee e riff scritti a partire dal 2000 e dare loro nuova linfa vitale. E stata la fase più creativa ed entusiasmante, avendo carta bianca e nessuna pressione esterna.
Come nasce “The Discouraging Doctrine of Chances”, uno dei punti cardine del disco?
Insieme a The hollow men è in effetti il brano che meglio rappresenta il mio sound e songwriting attuale, dando vita a tutte gli aspetti diversi che rappresentano Visionoir oggi. E’ presente la componente progressive, ma soltanto per quanto riguarda la scelta di un arrangiamento ricco e senza schemi predefiniti; c’è l’epicità data dal doom-metal, con un alternarsi di riff lenti e potenti, ma anche qualche accelerazione (non sopporto la piattezza e la staticità).
Fondamentalmente è divisa in due macro-sezioni che nascono da due riff principali, che vengono poi sviluppati dalla loro forma primordiale, arricchendosi via via di temi e inserti strumentali sempre più ricchi, fino al climax epico finale. La voce di Ezra Pound, poi, aggiunge un tocco di malata tetralità.
Puoi raccontare la strumentazione principale che hai utilizzato per suonare in questo disco?
In pratica per la composizione utilizzo la chitarra elettrica (una PRS SE Mikael Akerfeldt ) oppure un synth Ultranova: poi passo a un composer midi per trascrivere e memorizzare le idee, aggiungendo le altre tracce, in primis basso e batteria elettronica (Roland TDK-9). Una volta arrangiato lo scheletro dei pezzi registro tutto su una workstation digitale Yamaha per poi dedicarmi alle tracce aggiuntive di tastiera (ho molti expander collezionati negli anni, per esempio un JV-1080 con ottimi campioni di mellotron).
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimi di più in questo momento e perché?
Devo ammettere che con grande rammarico non riesco più a seguire le novità e l’underground come una volta, vista anche la quantità di uscite. Il Friuli pero è una terra generosa da questo punto di vista per cui ti segnalo le ultime uscite di Alessandro Seravalle, che approfittando della pausa dei suoi Garden Wall, si è dedicato a musiche prettamente d’avanguardia.
Puoi indicare tre brani, italiani o stranieri, che ti hanno influenzato particolarmente?
Di getto direi: Tiamat Visionaire, Candlemass Solitude e Devil Doll, lintera suite Dies Irae.
Visionoir traccia per traccia
Distant Karma apre il disco con un gioco di parole di stampo lennoniano e un ritmo crescente, calato in un discorso sympho-metal. The Hollow Men è invece caratterizzata da un recitato in background, mentre la chitarra svolge le proprie matasse elettriche.
Più fluidi i discorsi di 7even, che ha un riff quasi orientale e un’attività elettrico/elettronica particolarmente dialettica. I processi di The Discouraging Doctrine of Chances mettono al centro un’ambivalenza interessante con la chitarra che riesce a interpretare momenti morbidi così come azioni più percussive.
Shadowplay parte in modo tranquillo ma presto cambia passo e si adegua allo spirito inquieto del disco. Tastiere dalle propensioni decisamente prog regalano ulteriore dinamismo al brano.
Electro-Choc apre fin da subito con caratteristiche drammatiche, questa volta temperate dall’elettronica. Coldwaves stacca decisamente, cambiando sonorità e rinunciando parzialmente ai riflessi metallici.
L’ultimo passaggio è A few more steps, con un recitato declamatorio e con particolarità sonore che ne fanno il brano più sorprendente dell’album. C’è poi una bonus track decisamente sui generis: la lunga suite Godspeed Galaxy Radio, quasi undici minuti in cui la melodia del pianoforte affianca svariati generi di durezza.
Visionoir sviluppa un discorso e un disco che suona fluido e che sarà particolarmente convincente sia per i fan del metal sia per coloro i quali apprezzano le evoluzioni sinfoniche.