Con un secondo disco, Promises, che ha già fatto parlare piuttosto bene della band (qui la recensione), We Are Waves si sono segnalati come una delle realtà più interessanti della stagione. Ecco la nostra intervista con la band.

“Promises” è il vostro secondo album. E’ stato più semplice o più complicato da realizzare rispetto all’esordio?

E’ stato molto diverso. Per certi versi più semplice; mentre in “Labile” abbiamo dovuto lavorare tanto per trovare uno stile che fosse personale e integrare le parti suonate con le parti elettroniche, in “Promises” entrambi i processi erano già consolidati e certi momenti del disco si sono quasi scritti da soli. Dall’altra parte in “Promises” abbiamo curato molto di più la struttura dei brani, le melodie, gli arrangiamenti e soprattutto i suoni dei synth, cosa che ha portato via molto più tempo rispetto al disco precedente.

Con quali idee siete entrati in studio e con quali sensazioni ne siete usciti?
Eravamo assolutamente eccitati e non vedevamo l’ora di registrare questi brani su cui avevamo iniziato a lavorare già diversi mesi prima. Abbiamo fatto a malapena passare le vacanze di Natale e il 2 gennaio alle 10 del mattino stavamo montando la batteria al MeatBeat studio di Aosta. Ne siamo usciti esausti, anche perché sono stati due mesi di lavoro intensissimi. Esausti ma estremamente soddisfatti.

We Are Waves: sperimentare il più possibile

Nonostante le influenze new wave/dark wave siano sempre piuttosto presenti, mi sembra di avvertire uno sforzo di variare il più possibile le atmosfere. Forse la definizione “band di genere” comincia a starvi un po’ stretta?

Quelle influenze fanno parte della nostra essenza, ma non vogliamo che ci condizionino o che il nostro universo musicale sia tutto lì…piuttosto ci piace prendere quei canoni e quegli stampi sonori per creare qualcosa di nuovo e di personale, e di sperimentare il più possibile.

Perché avete scelto “Lovers Loners Losers” come singolo e video?

Tra tutti i brani di “Promises” è quello che ha il legame più stretto col nostro precedente album, e quindi dava continuità al passaggio di consegne tra Labile e Promises. Inoltre è un brano molto variegato in cui, in circa 4 minuti, riesci a sentire tutto il nostro universo sonoro. E’ quindi un buon biglietto da visita per farci ascoltare da chi ancora non ci conosce.

Come nasce “Midnight Ride”?

E’ un brano complesso. Nasce da un’idea di Cisa (synth), ed era quasi interamente elettronico, con una ritmica molto lenta e cadenzata alla Nero di “My Eyes”. Ma il risultato suonato era un po’ pesante, per cui abbiamo recuperato un vecchio brano scartato durante le sessions di Labile, che aveva un drumming molto deciso e che andava a esplorare atmosfere un po’ diverse dal solito, scavando in un certo desert-rock alla Kyuss.

Abbiamo provato a unire le due cose e il risultato ci è piaciuto molto. A quel punto io (Viax, voce e chitarra) ho lavorato sulla parte vocale per renderla un po’ meno “wave classica” e un po’ più “profetica” stile Jim Morrison di “The End” per intenderci. Il testo è stato ostico da scrivere, il più ostico di tutti. L’ho finito in studio il giorno prima di iniziare le riprese delle voci, ed è lì che mi è venuto in mente il titolo di “Midnight Ride”, perchè tutto il brano è un flusso furibondo di coscienza.