Willie Peyote: trovare una soluzione alla rabbia

Esce oggi, 6 maggio 2022 Pornostalgia, il nuovo disco di Wilie Peyote: qualche anno dopo Iodegradabile, dopo una tempestosa ma anche positiva esperienza sanremese con Mai dire mai (la locura), con una riconoscibilità artistica e personale ormai maturata, anche al di fuori del mondo del pop e dell’hip hop.

Il disco conta su tredici tracce (lo recensiremo molto presto) e si configura come un ritorno pieno all’hip hop, con uno sguardo se possibile ancora più disincantato, questa volta più verso l’interno che all’esterno.

“Non sono neanche più incazzato/vecchio sono stufo”: immagino che iniziare il disco così sia uno statement. È così che ti senti, prevalentemente?

Di partenza c’è sicuramente quello: sono partito da lì perché anche come sensazione, pensavo fosse quello il mio sentire. Poi in realtà nel disco il sentimento prevalente non è la rassegnazione o la rabbia ma è il dubbio. Il dubbio che sia effettivamente giusto essere rassegnati, oggi come oggi. Il dubbio che non si possa provare a reagire ai sentimenti appena esposti.

Però sì, il punto di partenza era necessariamente quello, un po’ figlio degli anni che abbiamo appena vissuto, un po’ figlio anche del mio disagio nel cercare di trovare la voglia di dire la mia in un mondo in cui tutti dicono la loro e si è costantemente polarizzata la discussione al punto che vieni immediatamente incasellato in due macrocategorie sempre in disaccordo tra loro e non ci sono sfumature su nessun argomento. Qualunque sia l’argomento tu sei o da una parte o dall’altra della barricata. All’inizio ero abbastanza stufo. Poi però mi è tornata la voglia, se no il disco finiva lì!

In effetti ho ascoltato in sequenza “Pornostalgia” e “Iodegradabile” e l’impressione, un po’ a sorpresa, è che fossi un bel po’ più incazzato nel 2019 e un po’ più triste ora. Questioni personali, questioni internazionali, ci siamo tutti un po’ depressi o che altro?

Tutto insieme: il mondo fuori e il mondo dentro sono molto collegati. Abbiamo vissuto un periodo difficile e non se ne vede la fine: non stiamo andando proprio verso il nostro momento migliore della nostra storia. Sono davvero un po’ stanco di non trovare una soluzione a questa rabbia. La rabbia fine a se stessa dopo un po’ non porta a niente, ma non voglio che passi il messaggio della rassegnazione perché poi mi sono imposto, anche attraverso alcune domande che mi faccio nel disco, di trovare la forza di reagire, perché se no allora davvero valeva la pena di non farlo neanche il disco o di alzarsi la mattina. La tristezza deve servire comunque come motore, non come punto di arrivo.

Spiegami il titolo

L’idea del titolo nasce come altra faccia della medaglia del disco precedente, Iodegradabile (2019): se lì c’era l’analisi del tempo che passa troppo in fretta, qualche mese dopo il tempo si è fermato. E un po’ tutti, io per primo, ma poi mi sono reso conto di quanto fosse statisticamente molto diffuso come approccio, ci siamo tutti guardati alle spalle. Siamo andati a rileggere vecchi libri, a riguardare vecchi film, abbiamo scoperto il valore rassicurante e un po’ pornografico, nel senso che ci dà eccitazione, della nostalgia.

Quando non puoi guardare avanti, l’unica consolazione ce l’hai nel passato, nei ricordi, in qualche modo la tiri fuori nei momenti di sconforto. Da questo ragionamento nasce l’idea del disco. Il concetto di nostalgia poi viene declinato in vari modi come succede spesso nei miei lavori. A livello sonoro l’idea era di fare un disco che fosse un po’ meno suonato, un po’ più prodotto e un po’ più rap, anche un po’ più cupo come suoni.

Anche in questo caso la nostalgia è sia nella scrittura sia nelle reference: è molto più rap perché mi mancava un po’, non potendo toccare con mano e non potendo fare il mio lavoro sul campo, sono dovuto andare a riscoprire il motore dentro di me e ho dovuto riavvicinarmi alla musica come la facevo una volta. Nell’ultimo periodo il lavoro chiamava altro lavoro, quindi si stava sempre in moto. Appena tutto si è fermato ho dovuto riscoprire il motore interno e sono ripartito dalle cose che mi piacevano una volta, cioè dal rap, prevalentemente.

Che ci racconti della copertina?

E’ presa da una locandina di un film, dai due ragazzi che hanno fatto le copertine ormai da quattro dischi. Il film si intitola Toys are not for children, ed è un film del 1972. Quell’immagine riesce a trasportarti immediatamente in un periodo storico, un po’ per i colori un po’ per come è equilibrata. Volevamo che desse semplicemente una sensazione. Non è tanto il soggetto l’importante ma la sensazione.

Due parole sulle collaborazioni presenti nel disco (Samuel, Aimone dei FASK, Speranza, Jake La Furia, Godblesscomputers e due interventi recitati come quelli di Michela Giraud ed Emanuela Fanelli). Perché e come hai scelto i partner del caso?

Un po’ l’idea era quella di raccogliere tutte le possibili sfaccettature e ispirazioni che mi hanno portato dove sono oggi. Ma anche quella di dare tanti colori e tanti punti di vista al disco perché vado in profondità nel mio sentire, anziché nel racconto di quello che vedo fuori di me. E mi aiutava il fatto di avere accanto punti di vista che dessero anche altri colori.

Poi ho scelto anche amici con cui mi sono confrontato nell’arco di questi due anni sui temi che poi nel disco vengono trattati. Quindi averli nel disco mi rassicurava un po’, perché effettivamente con loro ne avevo già parlato. Con Aimone, con Samuel, con Emanuela io mi sono trovato a confrontarmi spesso sul lavoro, sul tempo che passa: averli nel disco mi ha aiutato.

“Ufo”, che apre il disco, sembra abbastanza combattuta tra due forze opposte

Quello che cercavo di restituire era la mia fatica nel collocarmi in un punto. Non tanto perché qualcuno mi rende difficile la vita: non volevo accusare l’industria o il pubblico o i miei colleghi. E’ solo che io, con il tempo che passa, non sono sicuro di aver trovato la mia collocazione, quindi mi faccio delle domande.

Però se sono ancora qui e, come dico in un altro pezzo, “se non mi spara la Universal” vuol dire che un posto per me nel mercato esiste ancora e quindi lascio in mano a loro la pistola, nel momento in cui non vorranno più dovranno solo premere il grilletto… Ma penso che ci sia ancora spazio per una sintesi tra ciò che vogliamo e ciò che ci è concesso: bisogna solo prendere le misure.

In questo disco racconto la fatica di prendere le misure. Poi se faccio un altro disco vuol dire che le misure le ho prese. Se mi fermo con questo vuol dire che ho perso!

“Le cose sono cambiate, cercherò di non cambiare io”

Il dualismo (banalizzo) tra arte e soldi è sempre stato un tuo topos, ma mi sembra che qui la situazione sia ancora più sotto la lente d’osservazione. È il successo che pesa sempre di più? Ci leggo anche un po’ di senso di colpa, sbaglio? Quasi un chiedere scusa perché non sai come gestirlo?

Non è tanto un chiedere scusa ma non ho trovato il modo giusto di gestire il tutto. Sai, i soldi per me non sono così importanti, nel disco faccio anche riferimento a occasioni in cui ho rifiutato di incassare del denaro perché non mi sembravano in linea con quello che ritengo essere il percorso artistico per cui ho iniziato a fare questo lavoro. Al ragazzo che ha iniziato questo percorso con tanti sogni nel cassetto devo comunque la coerenza di portare avanti il discorso come l’ho iniziato.

Però non è un chiedere scusa: è più un’ammissione di difficoltà. La frase importante è “I soldi mi fanno un po’ schifo/però perché devo lasciarli agli altri?“: ok quelli che non ritengo coerenti con il mio percorso, però gli altri, se me li danno, io li prendo anche. Poi cercherò di usarli in maniera più intelligente possibile…

Il rapporto con i soldi è cambiato perché sono molti di più quelli che mi offrono. Io accompagno l’ascoltatore come ho visto fare dai miei autori preferiti nel corso della vita. Le cose sono cambiate, cercherò di non cambiare io. Dire di no a certe cifre non è sempre facile. Mio padre mi ha detto: “Non me lo dire nemmeno più perché ti diseredo la prossima volta che mi dici una cosa del genere…”

Non rinnego mai le scelte che faccio, racconto la fatica che faccio nel compierle.

Stai anche facendo riferimento all’offerta di un talent…

Sì, quello è un caso ma ce ne sono state altre. Non volevo mettere in evidenza quello: se avessi voluto parlarne l’avrei fatto quando è successo. Se no è come fare beneficenza e poi dirlo. Non ho rifiutato l’offerta per farmi dire: ah guarda che bravo. L’ho rifiutata perché non ero a mio agio. Nel pezzo in cui lo cito dico: cazzo ma cosa devo fare perché mi si dica che sono almeno coerente con me stesso? Non lo faccio per gli altri, lo faccio per me. Però almeno ogni tanto ricordatevi!

Qualcosa sull’Eurovision a Torino te la devo chiedere per forza. Come la vedi?

Non ho avuto ancora la possibilità di viverlo. Conosco anche molti dei ragazzi che stanno organizzando l’Eurovillage e altri che parteciperanno agli eventi. Non sarò a Torino quando ci sarà l’evento e non ho vissuto in città il fermento che c’è stato quando ci sono state le Olimpiadi, per esempio, anche perché era un evento diverso.

Io spero che serva per ridare un po’ di slancio alla città, per farla sentire davvero preparata e pronta. Perché ha davvero qualcosa da offrire, mentre si è un po’ spenta negli ultimi anni. Non credo però alla logica per cui soltanto con i grandi eventi si rimette in moto il tessuto di proposta culturale e sociale della città. Lo dico anche nel disco: i grandi eventi, gli ATP eccetera durano un tot, spremono anche a livello territoriale la città ma poi non lasciano niente. Io vorrei che questo servisse per riattivare il tessuto.

Perché poi Torino era una città in cui c’era una proposta non dico alternativa ma peculiare rispetto al resto d’Italia. Penso alla fine degli anni Novanta e ai primi Duemila: in quel periodo lì Torino era riconoscibile, c’era una scena elettronica tra le prime d’Italia. Ecco io vorrei che si tornasse a sentirsi liberi e preparati per proporre qualcosa, però non soltanto attraverso i grandi eventi, senza nulla togliere. Ma non è l’unica strada: servono concerti, ma riattivando i locali per far suonare la gente, che è diverso.

Come funziona il PEYOTeMES, il tour nei club in partenza proprio stasera a Milano?

Mi mancano i concerti ma mi manca anche toccare con mano che effetto quello che faccio sulle persone. Farmi raccontare da loro quello che sentono e che provano, farmi portare da loro in luoghi in cui non pensavo di essere stato nella scrittura di un disco. Con la scusa del disco vorrei reincontrare le persone. Mi farò aiutare ogni volta da un ospite diverso: ci saranno Giudo Catalano e Andrea Colamedici che sono due persone con cui in questi anni mi sono confrontato spesso anche su temi “grandi”.

Ci saranno ospiti del disco come Godblesscomputers e Aimone, ci saranno amici come Federica Cacciola e Bebo. E’ sempre stimolante parlare, partendo dai temi del disco, quindi il lavoro, la rassegnazione, il ruolo dell’artista oggi. Soprattutto confrontandomi con le persone all’ora dell’aperitivo, bevendo una roba, che secondo me “unge” un po’ tutti i meccanismi.

Calendario PEYOTeMES

venerdì 6 maggio MILANO         Santeria (inizio ore 20:00) con Andrea Colamedici (Tlon) e Marco Cappato
sabato 7 maggio LECCE Officine Cantelmo (inizio ore 20:00)
domenica 8 maggio BARI L’officina degli esordi (inizio ore 20:00)
lunedì 9 maggio TORINO     Hiroshima Mon Amour (inizio ore 20:00) con Guido Catalano
martedì 10 maggio PADOVA Giardini Dell’Arena (inizio ore 20:00) 
mercoledì 11 maggio ROMA Monk (inizio ore 20:00) con Alberto Guidetti e Bebo di Lo Stato Sociale
venerdì’ 13 maggio PALERMO Candelai (inizio ore 20:00) con Federica Cacciola
lunedì 16 maggio FIRENZE Viper (inizio ore 20:00)
mercoledì 18 maggio NAPOLI Foqus (inizio ore 20:00) con Aimone Romizi dei Fast Animals and Slow Kids
giovedì 19 maggio BOLOGNA Estragon (inizio ore 20:00) con Goodblesscomputer e Moder Gloryhole

Pagina Instagram WIllie Peyote