Come chi ci legge sa, TRAKS ha sempre seguito con attenzione le evoluzioni degli Zen Circus: non ci nascondiamo dietro un dito, si tratta della band guida del movimento indipendente italiano oggi, almeno quanto gli Afterhours lo sono stati negli anni Novanta e primi anni Duemila.

Così quando Enrico Deregibus ci ha detto che Ufo e Appino sarebbero saliti sulle colline del Monferrato per una serata del Pem! Parole e Musica in Monferrato, a pochi chilometri da casa di chi scrive, ci è sembrato un po’ di invitarli a casa nostra.

Gli Zen sono qui per parlare di se stessi e anche del libro che uscirà il prossimo 10 settembre, intitolato Andate tutti affanculo come il loro disco “di svolta” del 2009. L’intervista si è trasformata, più o meno, in quattro chiacchiere in pizzeria (forse sei), con un clima piuttosto informale e con la schiettezza che, Sanremo o non Sanremo, successo o non successo, continua a contraddistinguere questi ragazzi.

Prima domanda di ambientazione: benché siate direi al momento la band più importante d’Italia, vi prestate a manifestazioni “di provincia” come questa, anche, immagino, per la vostra ben nota storia di amore e odio con la provincia stessa. Che cosa pensate di una rassegna come questa?

Appino: La domanda con la risposta più intriseca che abbia mai sentito…

Sì, in effetti poteva uscirmi meglio…

Ufo: Certo che il nostro vissuto e il nostro percorso è indissolubilmente legato alla provincia. Si parlava fino a ora di Alessandria, di apparizioni qua e là, cosiddette periferiche. E’ talmente cucito a doppio filo con il nostro vissuto che ci ha portato forse proprio quello a essere, per alcuni, una buona band.

Appino: C’è anche un altro lato: per ora fortunatamente quello che facciamo ci piace. Ovvio le cose crescono e più crescono più ti fanno fare poche cose ma grandi. A noi interessa anche di andare a toccare con mano quello che qualcuno chiamò “il paese reale”.

Ma anche quando siamo arrivati qua oggi abbiamo subito iniziato a guardarci scorci, in sostanza i paesi li occupiamo per 24 ore militarmente fino all’alba, questo lo dico anche per il sindaco… Li introiettiamo e molto spesso sono diventate canzoni. Non c’è soltanto la provincia, anche le grandi città sono fatte di provincia. Ma comunque finché si può ci fa piacere e serve anche a noi.

Ufo: Poi la cultura nasce dal territorio. Spesso si sente parlare a sproposito di identità del territorio per salvaguardare soltanto le proprie tradizioni, i propri confini, il proprio dialetto, quattro cose in croce. No: la cultura sul territorio si fa portando la cultura nel territorio. Secondo me non bisogna identificare la cultura come la sagra del paese, ci si può muovere su più binari, anche veicolando persone da fuori, parole, musica, cose.

Il 10 settembre uscirà “Andate tutti affanculo”, il libro che avete scritto con la collaborazione di Marco Amerighi. Perché è un romanzo “anti-biografico”, come lo avete definito?

Appino: Non so quanti lavori simili ci siano sulle band. Abbiamo prestato veramente la nostra storia vera al libro. Intanto, se gli Zen fossero una serie tv, questo libro sarebbe il prequel. Perché ovviamente tutti ci conoscono da Andate tutti affanculo (l’album, Ndr) in poi, invece questo libro si ferma proprio prima che esca il disco.

E’ un vero e proprio romanzo di formazione, che parla della provincia e della storia dell’Italia.

Ufo: E’ un pretesto perché ci si possa identificare lungo tanti anni e tanti eventi, nostri ma anche del Paese. Quindi è una maniera per raccontare la nostra storia e la storia della nostra speranza, ma anche per far immedesimare altre persone. Ci sarà un frontespizio che spiegherà più nel dettaglio.

Appino: E poi è accaduto che per questioni narrative, lavorando con Marco Amerighi, ci piaceva partire da una traccia biografica ma renderlo un romanzo. Perché è un romanzo a tutti gli effetti. I tempi sono modificati, le cose sono cambiate, la timeline è fluida. Non è una biografia, è contro la biografia vera, è proprio un romanzo. Siamo molto contenti.

Con Marco è stato un lavoro molto lungo e non è stato facile per niente. Ma ora ci piace molto. Gli Zen sono il mio primo gruppo da quando ero piccolissimo. E nel libro ci siamo resi conto che gli Zen nascono da Capaci e sono arrivati finora. E nel mezzo ce ne sono state di cose che sono successe anche all’Italia. E’ una scusa per parlare del Paese.

Ufo: E’ un romanzo di formazione sia nostro sia del Paese. Che non so se si sia formato o meno.

Appino: I nomi nostri sono veri, tutti i personaggi non legati alla band hanno i nomi cambiati anche se è molto facile ritrovarli. Gli unici altri nomi veri sono i musicisti, che magari si conoscono oggi. E’ un romanzo in cui le cose si mescolano. Ed è esattamente come lo volevamo.

La raccolta “Vivi si muore” chiude vent’anni di carriera. Non so se chiuda un capitolo ma comunque sembra un bilancio…

Appino: Mah guarda, bilancio no. E’ più un bignami. Io personalmente ero uno di quelli che studiavano sui bignami…

Ufo: Può essere anche, per certi aspetti, la chiusura di un ciclo. Può essere visto anche così. Di sicuro c’è voluta una serie di discussioni anche grosse fra noi per completarlo.

Appino: Avrebbe dovuto essere un doppio.

Ufo: Sì con tutti questi lp, è difficile condensarli. Ne siamo comunque soddisfattissimi.

Appino: Poi è arrivato dopo Sanremo, lo volevamo fare comunque per festeggiare i vent’anni. Quindi in realtà è stato anche bello perché chi ci ha conosciuto lì in qualche modo poteva fare riferimento a quello che abbiamo fatto prima.

Ufo: E poi è andato bene. Siamo più che contenti.

Appino: Quindi un bilancio no perché presuppone che sia finito qualcosa. Da ragioniere (perché con 36/60 sono ragioniere) ti dico che il bilancio si fa alla fine dell’anno. Diciamo che il bilancio è che siamo ancora vivi. Superando questo scoglio qui poi, io personalmente sono malato, sto già pensando a cosa faremo. Che è una malattia, me ne rendo conto.

Anche quest’anno di celebrazioni, dieci anni da Andate tutti affanculo, la festa al PalaDozza, i vent’anni, e il libro… Io mi so’ già rotto coglioni di guardare indietro.

Ufo: Ti do un’informazione, non abbiamo ancora finito di guardarci indietro.

Appino: Ma per la prostata?

Ufo: No, il libro.

Appino: Sì ma durante la promozione del libro, lo dirò: avete rotto il cazzo. Il libro è uscito ieri, il passato è passato.

Ufo: Comunque non vi libererete facilmente di noi.

Appino: Se madre natura non ci sta mettendo già un po’ lo zampino…

Ufo: No ma anche a livello internazionale c’è fermento, vediamo che stanno tornando un po’ le chitarre, quindi noi faremo un disco ambient. Cover di Sakamoto e basta. No be’ abbiamo la fortuna che il ragazzo qui presente (indica Appino) ha sempre parecchie idee e c’è già materiale per imbastire qualche ragionamento. Chiaramente con calma.

Nuove realtà da fotografare e Sanremo

Arriverà prima un nuovo disco degli Zen o un disco da solista di Appino?

Appino: Dischi di Appino solista non esistono più perché gli Zen sono cambiati. Per molti anni avevamo come modello immaginario quello dei Ramones, che erano uno dei nostri gruppi preferiti. Cioè gli Zen si occupano di un certo determinato argomento visto in un certo determinato modo…

Ufo: Ci vedevamo molto monoliticamente.

Appino: Ci vedevamo anche noi così. Quindi quando sono venuti fuori i primi brani de Il testamento ero io il primo a dire no, questa roba non c’entra. Al tempo delle interviste dicevo che non volevo forzare gli Zen.

Poi dopo i due dischi che ho fatto da solo semplicemente è successo che non ce n’è più bisogno. Abbiamo imparato un nostro linguaggio, ci siamo talmente più uniti dopo Canzoni contro la natura e da La terza guerra mondiale in poi che siamo pronti a fare qualsiasi cosa. Ora il disco ambient alla Sakamoto magari no. Però non c’è più questa mia necessità da scrittore di “evadere”, siamo i primi noi a fare quel cazzo che ci pare.

Chiaro, lo spettro Zen è quello di tre persone, ora cinque, che suonano insieme. Un brano come L’anima non conta non lo avremmo fatto magari prima secondo questa idea malsana.

Ufo: Quando l’output rappresenta tutti come linguaggio, come tema, deve uscire.

Appino: Sì ma magari prima c’era anche più timore dei personalismi. Cosa che invece con Il fuoco in una stanza sono entrati tantissimo. Che non sono cose mie.

Ufo: Sei diventato anche più bravo.

Appino: No, più vecchio.

Ufo: A volte son sinonimi. Comunque siamo contentissimi di avere per lo meno l’idea di avere molte cose da dire.

Appino: Anche il ruolo che crediamo di avere, in quanto scrittori di canzoni, di “fotografi” ti aiuta anche tantissimo a non avere mai poco materiale. Perché c’è da fotografare il momento storico e le persone. E basta avere sempre la macchina fotografica dietro e mettersi lì con gli occhi. E contesti e storie ce n’è. Ovvio che tocca tantissimo anche a chi oggi magari ne ha venti di anni e non venti di carriera.

Ma noi lo facciamo senza calarci nei panni di chi ha vent’anni oggi ma nemmeno con l’idea che “la nostra generazione…” Che è la cosa che ci fa più paura. Mi ricordo quand’ero piccolo e ascoltavo l’alternative americano e quelli che avevano dieci, quindici anni più di me dicevano: “Ah ma questa è musica di merda, i Led Zeppelin, Jimi Hendrix…”

Ufo: Però abbiamo avuto la fortuna grossissima di intercettare sia i ragazzi di oggi sia chi ragazzo non è più. Ci ha anche agevolato il fatto che la band non è mai stata “di moda”, quindi non siamo mai stati legati a un periodo in particolare.

Sanremo?

Appino: Secondo te non ce l’abbiamo già pronta? “E’ stato come andare in campeggio con gli amici…” In quanto band abbiamo occupato un albergo fra sbandieratori e altro. E quindi ce la siamo vissuta veramente come una gita.

Ufo: Siamo stati avvantaggiati sotto tanti aspetti, dal cast, dalla direzione artistica. Era veramente l’anno migliore per partecipare. Appena arrivati, uno a caso, Rocco Papaleo ci ha detto: “Quando vado a correre vi ascolto sempre”. Capisci già che sei in una situazione ideale.

Appino: Non è come gli After quando ci andarono dieci anni prima. Lì facevi lo strano e per il tuo mondo era il delirio.

Ufo: Complice anche il fatto che lo steccato fra quello che chiamiamo mainstream e quello che chiamiamo musica indipendente si è abbattuto.

Appino: Negli ultimi anni la nuova generazione se n’è talmente fregata che ha fatto sì che anche certe nostre cose votate a quell’idea di ampliamento sono state accettate con serenità.

Ufo: Poi il brano non era sanremese e quindi ha fatto anche un po’ da filtro.

Appino: Già l’anno prima c’era stato un po’ di corteggiamento. Poi abbiamo detto: è il ventennale, è perfetto, questo brano potremmo portarlo. Lui faceva: “Seeee…”

Ufo: Però poi a ben vedere ho capito che era la mossa più giusta, portare un brano non da Sanremo. Ma non per fare quelli strani.

Appino: Ma no, ma perché l’idea di andar lì a costruire, a far rinascere, a rilanciare una carriera in radio… Ma di che? A noi va da Dio da anni, live, che è quello che ci interessa, si andava meglio di quelli che ci “abitano” lì, quindi…

Le vostre tre canzoni preferite degli Zen?

Appino: Dipende, Figlio di puttana è una canzone a cui sono legato per tanti motivi, nel libro finalmente si capirà… Ma comunque è la prima che ho scritto in cui mi sono detto: “Ah… Bastava fare così”. E poi parla dei miei perciò ci sono legato.

Ufo: Digliene altre due. Ha detto tre. La domanda erano tre.

Appino: Allora lo dico a spregio: Albero di tiglio, Questa non è una canzone e Andrà tutto bene.

Ufo: Ah quelle più prog.

Appino: Tutte quelle da otto minuti.

Ufo: Io metterei Questa non è una canzone, Viva e The green fuzzy thing, perché è rappresentativa di un periodo ed è fatta bene.

Appino: Viva non ce l’ho messa per non far lo sborone.

The Zen Circus: la serata al PeM!

Enrico Deregibus intervista poi Ufo e Appino per la serata del PeM! Parole e Musica in Monferrato nel verde e accogliente Parco della Torre di San Salvatore Monferrato. Si parte parlando di Ugo Tarchetti, scrittore e poeta ottocentesco del periodo e della Scapigliatura, nato proprio qui (e scappato subito): Ufo si diffonde in commenti soprattutto sul suo romanzo dai tratti gotici Fosca. E dice che, visti i tratti dark, fosse stato un musicista sarebbe stato un Nick Cave.

Poi Appino parla di rock e delle sue declinazioni. Il rock delle rockstar nell’86 o 87, conosciuto da ragazzino, ma anche quello incontrato al centro sociale Macchia nera, con Fugazi o Henry Rollins, fino all’uscita di Nevermind e all’idea di sentirsi meno soli (che poi è la stessa cosa che Manuel Agnelli disse qualche settimana fa sullo stesso disco durante il proprio concerto a Germi).

Si parla, non proprio con entusiasmo, degli esordi noise e alternative della band, e i due dicono di essersi sempre portati il cadavere del rock (che come è noto, è morto) nel furgone.

La serata è piacevole e i due chiacchierano sostanzialmente senza freni e ridendo molto. Raccontano di aver iniziato come “dei madonnari del rock”. Rimanendo all’altezza del piano stradale perché non avevano un palco. Appino racconta: “Invece che cover, suonavamo canzoni nostre con amplificatori a pile rubati. Proprio roba brutta. E la gente ci guardava come dire: perché?”

Ufo invece spiega che benché il successo sia poi arrivato guardualmente, il modo di lavorare e anche di essere è rimasto lo stesso. Appino spiega che quando dopo il concerto la gente viene a fare i complimenti si chiede sempre perché, il che lo aiuta a rimanere con i piedi per terra.

Dopo qualche confessione sul tema: “Noi fondamentalmente ci facciamo un po’ schifo“, Appino cita il Dalla di Henna: è il dolore, è il dolore che ci cambierà. E si parla di dolore sublimato dall’arte, ma anche delle moltissime risate insieme. E dopo un paio di battutacce su Tenco si scivola verso Sanremo. E si apprende che tutti i soldi presi lì sono già stati spesi per allestire lo show stesso all’Ariston.

E’ ora di regalare qualche canzone, in versione acustica, con Ufo che litiga con l’accordatura prima che sfilino in sequenza Catene (“E’ tutto vero” grida Appino dopo aver cantato dei postumi e dell’ospedale), L’egoista e Canta che ti passa, in versione alternativa che provoca qualche piccolo problema di memoria sul testo per Appino.

Ecco poi che si torna a chiacchierare sulla storia della band. Ed ecco che emerge la truffa: Appino ha attirato nella band Ufo, che all’epoca aveva deciso di smettere con la musica, dicendo di avere un contatto con un’etichetta di Chicago, la Touch and Go, alla quale in realtà aveva soltanto spedito un demo ricevendo un rifiuto cortese.

Ufo fu sulle prime impressionato, ma quando vide la sala prove, in un canneto, ebbe i primi sospetti. L’ingresso di Karim avvenne dopo: fu notato dalla band perché gettava sempre bottiglie e oggetti contro di loro ai concerti.

E se Appino dice che Ufo è l’entusiasta della band, quest’ultimo controbatte che entusiasmo è troppo: “Una moderata partecipazione alla vita, entusiasmo non me la sento”. Ecco poi il racconto degli scazzi più memorabili della band, da Bari 2011 (Appino e Karim che si menavano prima dei bis), a un tutti contro tutti parigino, a Roma nel locale di Silvestri, Fabi e Gazzé, per finire gettati in strada da un buttafuori d’eccezione, Pierfrancesco Favino.

E se si apprende come i testi di Appino siano sostanzialmente un’interpretazione esatta di quello che pensano anche gli altri membri della band, colpisce un aneddoto che riguarda L’anima non conta, che in origine si chiamava Giornata di merda e Appino la detestava. Il primo a sentirla finita? Tommaso Paradiso, in un vocale.

Si chiude parlando di speranza, anche se utilizzata soltanto come arma in extremis: “La speranza va bene se non ho altro da fare, compreso farmi il culo per cambiare le cose”.

Ed ecco lo spazio alle canzoni finali: Figlio di puttana, L’anima non conta e naturalmente il finale con Viva. Gran bella serata, qui in provincia.

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