Con l’umile ma malcelata ambizione di fornire ai lettori di TRAKS qualcosa di “diverso”, che si possa leggere accanto, insieme, sopra e sotto la musica che accompagna le nostre giornate, questo agosto abbiamo deciso di proporre o riproporre alcuni articoli monografici che abbiamo scritto in passato, per lo più su altre testate, e che non volevamo andassero persi. Letture estive, ma anche per ogni stagione.
Viaggiare stanca. Costruire, invece, è produttivo: le cose ti escono dalle mani, i pensieri fluiscono, corpo e mente lavorano insieme. Viaggiare è aspettare in movimento.
Se non viaggi, puoi costruire. Puoi costruire un muro. E poi decidere di abbatterlo. Possono costruirlo gli altri attorno a te. E puoi, di nuovo, lavorare per abbatterlo dall’interno. Possono costruirlo gli altri per tenerti fuori.
Magari costruisci un cavallo di legno, lo riempi di soldati argivi, lo fai portare oltre il muro, mentre gli dei soffocano con serpenti marini i sacerdoti contrari, e a quel punto abbatti tutto. Muro, città, tutto quanto. E poi che ti resta? Viaggiare.
Roger Waters ha avuto a che fare con molti muri. Fin da quando, bambino, ha perso il padre. Una spina costante nella sua vita. È successo in guerra, in Italia, nel 1944, durante lo sbarco di Anzio. Tutti i biografi e i fan di Waters e dei Pink Floyd sanno quante e quali canzoni, album e capolavori abbia eretto sulla perdita del padre.
Ma Waters non ha mai conosciuto suo padre. Non l’ha mai vissuto realmente. Aveva meno di un anno quando è morto e la sua presenza/assenza è stata più che altro quella di un fantasma, quella di qualcuno che in realtà non c’è mai stato.
Intanto, in un tempo fuori dal tempo, su una bella spiaggia del nord della Turchia, il sole è alto, volano gabbiani, una brezza tiepida e, all’orizzonte, una città è ridotta in cenere e macerie. Con un enorme cavallo di legno al centro. Troia brucia ancora e Ulisse sale sulla sua nave per tornare a Itaca.
Come Ulisse, Roger Waters veleggia nei decenni della musica rock. Sempre presente eppure sempre distante. Nei suoi dischi non parla quasi mai delle piccolezze del mondo, né quando è con i Pink Floyd, né nei lunghi anni in cui se n’è allontanato, a furia di litigi, incomprensioni, voglia di prendere il timone, contrasti di personalità. Come Ulisse che litiga con Aiace per l’armatura di Achille.
Waters scrive di muri. Scrive di costrizioni e di coercizioni. Scrive della sorte dell’umanità, come quando, in Amused to Death racconta degli esploratori alieni che troveranno la razza umana estinta dal troppo divertimento, raggruppata davanti ai propri televisori.
Waters scrive di un’assenza, della figura del padre, di un padre che non ha mai conosciuto, e grazie a questo fantasma alimenta tutta la forza propulsiva della propria scrittura migliore. Waters, si può inferire, ha costruito la propria scrittura, la propria carriera, la propria vita, su un’assenza. Peggio. Su una menzogna, che ha raccontato a tutti, prima di tutti a se stesso.
La menzogna è sbagliata sempre. Quasi sempre. La menzogna, l’inganno che pone fine a una guerra che dura da dieci anni e che ha strappato la vita dai petti della gioventù di Troia e della Grecia è sbagliata? No, anche gli dei sono d’accordo e si allineano, e uccidono per proteggerla.
Waters è come Ulisse. I suoi viaggi lo portano ad affrontare le nuvole psichedeliche, i suoi Lotofagi, tra i quali si perde Syd Barrett. A preferire la Luna al Sole, in particolare a muoversi sul suo lato oscuro. A muoversi tra i porci di Circe, come in Animals, ad affrontare il Ciclope della nostalgia, ad ammirare lo scintillio di diamanti pazzi. A costruire The Wall, e poi ad abbatterlo.
Quello che colpisce di Ulisse non è soltanto il viaggio, il ritorno, l’ideazione del Cavallo, le avventure, la giustizia sui Proci. È la qualità di “uomo vero”, reale, quello che si finge pazzo per non andare in guerra, quello che ricorre ad astuzie anche piccole, nelle quali ci si può specchiare. L’abilità nel raccontare menzogne. Piccole astuzie, piccole polemiche, piccoli dissidi che sembrerebbero indegni di un uomo di grande statura, come quelli che ogni tanto Waters suscita con i colleghi, come per tenersi sempre sulla corda.
Anche la menzogna è un viaggio: un viaggio della mente per non andare a sbattere contro il muro della verità. Per evitare il Sole, alto sui propri errori, per rubare i buoi di Iperione senza essere scoperti. Per rispondere alla domanda del Ciclope: “Qual è il tuo nome?” “Nessuno”.
Ma viaggiare stanca. Platone descrive un Ulisse post mortem, in fila nell’Ade come tutti gli altri per la propria metempsicosi, fino a pescare in sorte la vita di un uomo comune. Ulisse non può che gioirne: troppa la strada e troppi i pericoli, per una persona sola.
Quale sarebbe la vita che sceglierebbe Roger Waters, se anche lui si trovasse, alla fine del percorso, in fila nell’Ade a pescare la propria sorte? Forse una vita simile a quella del padre.
Su una spiaggia italiana, nel febbraio del 1944 il sottotenente dell’VIII Battaglione dei Royal Fusiliers dell’Esercito britannico Eric Fletcher Waters perse la propria vita combattendo contro i fascisti. Generando un’assenza che il figlio Roger, per quante canzoni scriverà, per quanti muri abbatterà, non riuscirà mai a colmare.