Un secondo disco dal titolo Etere ha contrassegnato l’ultimo periodo di lavoro della band triestina Alkene (qui la recensione). Forti le influenze indie internazionali, ma buona e individuabile anche la personalità del gruppo, al quale abbiamo rivolto qualche domanda.
Questo disco ha comportato un lavoro di due anni e registrazioni tra Italia e Inghilterra. Potete raccontare com’è andata?
Ho vissuto per due anni a Leeds, in Inghilterra, studiando e lavorando come sound editor; ciò mi ha permesso di entrare in contatto con diversi musicisti e producer locali e di poter utilizzare le attrezzature presenti agli studios della Leeds Beckett University: la qualità della strumentazione presente ci ha convinti a effettuare alcune sessioni nell’arco di quei due anni per registrare sia demo che take finali.
Il nostro metodo di lavoro tuttavia è spesso molto dilatato e troviamo praticamente impossibile terminare tutto in sessioni definite: in seguito alle sessions inglesi abbiamo continuato a registrare nella nostra sala a Trieste, ma anche a casa, in camere improvvisate per un giorno in studi casalinghi e a Udine, al Moscow Recording Studio di Davide Massussi.
Rispetto al vostro esordio “Hamartia” avete adottato un approccio simile o differente?
È stato differente perché il processo di scrittura è stato più dilatato, dovuto anche al fatto che in quel periodo abbiamo vissuto in città differenti. Credo che l’approccio ai brani sia stato più ponderato e riflessivo: abbiamo lavorato molto di più sulla forma e sulla struttura dei pezzi, cercando di non ripetere quello che già avevamo fatto in Hamartia.
Avete scelto temi del pensiero classico (il dodecaedro, l’etere…) come elementi unificanti di questo album. Da dove nasce questa scelta?
Non è stata una scelta a priori ma piuttosto una coincidenza. Non avendo mai un tema o un concept ben definito a priori, nel processo di scrittura, è sempre necessario un lavoro di interpretazione successivo – in un certo senso quasi auto psicanalitico: più lavoravamo sui brani più emergeva quanto parlassero di connessioni invisibili e della consapevolezza di una realtà a volte diversa da quella che si vede.
In quel periodo, per motivi totalmente estranei alla musica, stavo leggendo molti articoli sulla cosmologia: succede quindi di imbattersi in concetti che inconsciamente ti sembrano familiari e di trovare un’affinità con quello che vuoi dire (o che hai già detto).
Alkene: alternativi senza essere sterili
Come nasce “Matahari”, a mio parere uno dei vertici del disco?
Si tratta di un brano piuttosto “vecchio”, dato che risale alle sessioni immediatamente successive ad Hamartia (quindi metà 2013). Nasce come pezzo molto più lento, solo chitarra e voce (così come lo suonavamo live nel 2013 e per gran parte del 2014 e come abbiamo registrato in un episodio di re:visioni sul nostro canale youtube). La parte finale è stata aggiunta successivamente, con l’intenzione di reinterpretare un sound più classico, alla The National.
Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
Credo che la strumentazione rifletta l’eterogeneità dell’album: nei brani più rock come Cuore, Lisbona e Futura la formazione è abbastanza classica, ovvero voce, chitarra acustica, basso, batteria e chitarre elettriche, con l’aggiunta in alcuni casi di drum machine, piano, rhodes e di un sintetizzatore analogico Ms20.
Nei brani più elettronici come Incantevole, Oleandro e Verbofobia, la batteria diventa completamente elettronica, le chitarre si fanno da parte, lasciando spazio ai sintetizzatori e ad interventi rumoristici.
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?
Verdena perché si può essere coerenti e alternativi senza essere sterili, Colapesce per la capacità di unire in modo onesto un gusto più internazionale all’estetica pop italiana e Iosonouncane per la proposta estremamente attuale nel panorama italiano. Tutti e tre per l’uso dell’italiano in modo contemporaneo e per niente scontato.
Potete indicare tre brani, italiani o stranieri, che vi hanno influenzato particolarmente?
Car dei Built to Spill, Words di Neil Young e Hey dei The Pixies.