Beginners è il nuovo disco degli Angus McOg. Nel titolo sta il filo conduttore che ha fatto da traccia alla scrittura di queste canzoni e alla loro registrazione. Un titolo rubato a Raymond Carver, che si presta a essere la cornice per dieci brani scritti come fossero dieci racconti.
L’album arriva a ben cinque anni di distanza dalla precedente uscita di Angus McOg, Arnaut. In questi anni esperienze e percorsi diversi hanno lasciato il segno nella costruzione di questo lavoro. Molto è andato proprio nelle liriche, imbastite come appunti di brevi narrazioni attorno all’idea dell’essere in fondo “principianti”, in amore sostanzialmente, che poi significa in realtà esserlo un po’ in ogni cosa.
Gran parte di questo lavoro è passato attraverso l’apporto di Luca Di Mira (Giardini di Mirò), che ha contribuito a far confluire nel progetto un discreto bagaglio di sonorità e visioni.
Angus McOg traccia per traccia
C’è un po’ di ansia e ci sono sentimenti incalzanti all’interno di Laika, che apre il disco su armonie rock stemperate dalle evoluzioni degli archi.
Evoluzioni movimentate, dopo un inizio tranquillo, si prospettano con A rooftop love song, che vive momenti diversi e fasi alterne, con qualche piccola nostalgia anni Novanta a fare da collante.
Turkish Delight insiste su ritmi di alta intensità, ma controbilanciando sempre con sonorità molto aperte e primaverili.
Si va sul morbido con la ballad Between the Lines, che risente di malinconie acustiche, smorzate ma presenti. La canzone si allunga in modi quasi psichedelici fino ai 7 minuti di durata.
Altro carattere e altre caratteristiche per Green Ocean Blue, che torna ad accelerare piano e a servirsi di altre contraddizioni in termini.
Con Ulysses si svolta verso suoni più duri e quasi new wave, abbandonando per un istante le tematiche folk sostenute fin qui, e dimostrando le svariate possibilità della band. Il titolo suggerisce intersezioni con Omero e Joyce, e il pezzo attraversa qualche peripezia sonora prima di arrivare alla fine.
Turn the Corner abbassa i toni e lascia filtrare vaste dosi di quieta malinconia. Arriva con passo consistente ma tranquillo anche Beginners, canzone titolare del disco e riferimento sicuro alla tradizione del folk a più voci.
Risonanze più vaste quelle di Cold Sand, che segue le vie dello psychedelic folk disegnando panorami sfumati, ma con la determinazione giusta per chiudere il brano.
Chanting Mime Hands invece mette la parola fine al disco chiudendo il viaggio tra contrasti di luce e di suono.
La disperazione cupa che sta alla base di molti dei racconti di Carver, il suo nichilismo e il suo pessimismo non sembrano trasparire dalle canzoni degli Angus McOg. Detto questo il disco suona puro, libero e fresco, con tante idee che rimbalzano dal folk al pop (e ritorno), ottenendo risultati lusinghieri e godibili.