Cinque nuove segnalazioni in breve anche nell’anno nuovo per TRAKS, un pro memoria per dischi che potresti aver mancato di pochissimo.
Giovanni Conelli, Di viaggio, di fiori e di altre spine
Il terzo capitolo della storia discografica di Giovanni Conelli è un extended play dal titolo Di Viaggio, di Fiori e di altre Spine. Conelli, classe ’93, ha radici a Napoli ma il suo incedere l’ha portato, nei tempi più recenti, a esibirsi a Roma, Milano, Novara, Lecco fino a spingersi a Vienna e Passau. Si parte dalla drammatica Le Spine, con un background evocativo e un passo lento e cadenzato. Senso del dramma e idee narrative di stampo orientale sono la spina dorsale di Habibi. Si rimane lì, geograficamente parlando, anche con Istanbul, con apertura sommessa e un’affermazione graduale iterata. Si chiude con il forte senso del dramma, anche in questo caso in crescita, de La Pelle Morta. Forte di una vocalità particolare, Conelli arricchisce le proprie canzoni di atmosfere spesso inquiete e mutevoli, ottenendo risultati particolarmente interessanti.
Il Solito Dandy, Buona felicità
Buona Felicità è l’album d’esordio del torinese Il Solito Dandy, presentato come contente “Canzoni d’amore per chi si trova solo a fine serata, per chi si sveglia con i timbri e nausea del sabato sera, per chi guida a piedi scalzi nella notte“. Qualunque cosa ciò voglia dire. La partenza è evocativa con la breve ma non rapida Citofoni. Si accelera nettamente invece con Bisturi, dai sapori pop molto spiccati. Si rallenta con Owen Wilson, altra interazione con il pop elettronico a tema personale. Il synth è padrone dei giochi anche in Vittorio Emanuele, che ha uno sviluppo un po’ più complesso rispetto ad altri brani del disco. Dentifricio per cuori sensibili ha un ritmo sincopato e una certa tristezza di fondo.
Un po’ più vivace anche se non priva di malinconia Milena Mezzora. Si entra pesantemente in zona synth pop (ma con qualche influsso quasi techno) con l’aggressiva Tigre Pasquetta (ok, aggressiva quanto a ritmi, non quanto a titolo). Si torna a qualcosa di più morbido con In questo caldo porpora. Discorsi minimalisti per le sonorità di RMDNE, prima che il ritmo prenda una curva differente a metà brano. Si chiude con il congedo di Buona Felicità. Niente di inedito o di particolarmente sorprendente nel lavoro de Il Solito Dandy, giusto una buona padronanza dei propri mezzi e buone capacità pop.
Omake X Shune, Raw
Si chiama Raw il nuovo album di Omake X Shune, pubblicato da Arroyo e distribuito da Believe Digital. Il progetto guarda oltreoceano tra elettronica rarefatta, chitarre elettriche e produzioni curate. Si parte con l’autotune acceso in Honda 95, pezzo di elettronica soft, bissato poi dal minimalismo contenuto in Truths & Enemies. MFL porta un’ondata di malinconia, resa più elettrica dalla chitarra. Con Sidewalks/Grace_Fireworks il fastidioso autotune torna d’attualità, su un background elettronico sempre piuttosto rarefatto. Olympics si distribuisce in ampiezza, evocando sonorità che appartengono all’ambient e ad altri generi elettronici.
A-Villain invece naviga nel vuoto, con un curioso canto a cappella con autotune (ancora). Vocette elettroniche e un senso di malinconia lasciano un’impronta in BDSM. YP_GRLZ subisce influenze black notevoli, dal soul all’hip hop. Ecco poi Iowa, lenta e dal passo maestoso, con campionamenti di archi ad aggiungere solennità e tristezza. Olneya Tesota ha una trama piuttosto fitta, al contrario di Storm, molto più rarefatta. Si chiude con Awake_I_Finale, brano sostanzialmente post rock con recitato con fiati impazziti sullo sfondo. Detto di certi eccessi sintetici, il risultato complessivo è però importante e interessante.
Pamplemousse, Pamplemousse
Pamplemousse è un trio noise che arriva nientemeno che dall’isola di Reunion nell’oceano indiano. Si autodescrivono come “qualcosa tra RI Burnside, Unsane e George Michael”, e hanno indubbiamente un gusto discutibile per quanto riguarda le copertine dei dischi (ma è un discorso che si può estendere a gran parte degli album di questa pagina). Detto questo, si parte da First, carica di sporchi ritmi garage, urla, elettricità e intensità. Meno furibonda Zoo circus, che mette in rilievo aspetti più agili e curiosi della band.
Si opta per un passo pesante e per sonorità hard rock/post grunge con Marabout, mentre The End ha ritmi rapidi e influenzati dal punk. Suffocating riporta in basso i giri del motore ma alza la potenza, facendo perno su un riff ripetuto a loop in modo ipnotico, in quella che finisce per essere quasi una suite psichedelica da oltre 8 minuti. Segue Octopussy, pesante nei modi e nei toni, con drumming e chitarre senza risparmio. I hate this song ritorna a velocità alte e linee semplici, fino a nuovi esiti psych. Ecco poi i battiti intensi di Hulk, che ha spazi per divagazioni, prima che l’omonima Pamplemousse chiuda con sconfinamenti nel math. Disco interessante, piuttosto slegato da logiche di tendenza ma comunque non datato, quelo dei Pamplemousse. L’energia scorre a fiumi, senza interferire mai con la fluidità dei brani dell’album.
[bandcamp album=215469325 bgcol=FFFFFF linkcol=4285BB size=venti]Teo Ho, I gatti di Lenin
Si chiama I gatti di Lenin l’esordio del cantautore friuliano Teo Ho, in cd & digitale da New Model Label. Teo Ho, nome d’arte di Matteo Bosco, si autodefinisce un “osservatore friulano”: “Ho sempre scritto tutto quello che non era abbastanza forte da poter essere ricordato, o che lo era troppo”. La chitarra accoglie in Hamlin, con un certo senso di fiaba storta. Dissonanze e divagazioni politico-storiche anche ne Il gatto di Lenin, che prende le mosse dalla canzone folk per seguire sentieri tutti suoi. Qualcosa di Rino Gaetano, ma anche molto di personale emerge in Mr. Sands, condita dall’armonica a bocca. Il senso di surrealtà, così come l’armonica a bocca, proseguono anche in Genova, berretto di lana.
C’è animazione all’inizio di Incastrati sui ponteggi, sorta di western urbano. La volpe e l’uva è più tranquilla, ma sempre ricca di immagini curiose. Memorie antiche e pazze emergono da 1986, e anche Le fate nude ha argomenti simili. La chitarra lavora con attenzione in Rimboccare marciapiedi, prima che Nove per chiuda con tristezza. Originale e spesso improbabile, Teo Ho segue, soprattutto nei testi, vie del tutto personali.