Esce il 23 novembre per Shore Dive Records Backlit, il primo album full length di Cosmos in Collision. Nelle nove tracce, per un totale di 48 minuti di musica, Cosmos in Collision presenta un resoconto delle sue esplorazioni nelle strutture soniche dello shoegaze e dell’ambient-elettronica.
Tutte le tracce che compongono il disco sono state composte e suonate da Riccardo Spaggiari, che si è occupato anche della produzione, del mixaggio e del mastering. Lo abbiamo intervistato.
Qual è la storia di Cosmos in Collision?
Cosmos in Collision è il mio viaggio musicale in solitaria. Ho iniziato a fare musica da ragazzino suonando la batteria in svariati gruppi del sottobosco reggiano. Negli ultimi anni ho sentito l’esigenza di esprimermi anche con altri linguaggi e ho iniziato a sperimentare con sintetizzatori, chitarre ed effetti, appassionandomi anche al mondo della produzione musicale. Tutto questo si è poi concretizzato nel progetto Cosmos in Collision.
Nel 2016 è uscito il mio primo ep Adrift seguito da Glide del 2017. Il 23 novembre uscirà per l’etichetta inglese Shore Dive Records il primo album full lenght Backlit.
Quali sono le premesse di questo disco?
Questo disco è il resoconto delle mie esplorazioni notturne, durate più di un anno, tra le strutture soniche dello shoegaze e dell’ambient-elettronica.
Rispetto ai due ep precedenti trovo che Backlit suoni più coeso e omogeneo, sia dal punto di vista delle sonorità che dal punto di vista della produzione. Inoltre, è un disco più elettronico, le chitarre e i crescendo tipici del post rock sono meno presenti, soprattutto rispetto ad “Adrift” che è più orientato verso sonorità post-rock.
Quali sono i tuoi punti di riferimento in ambiente shoegaze/post rock?
Per questo disco più che nel post rock ho cercato dei riferimenti nello shoegaze, in particolare nel modo di trattare le chitarre con massicce dosi di riverbero e fuzz, per poi replicarne lo stile nelle catene di effetti che ho utilizzato sui synth.
Hai fatto veramente tutto da solo per questo disco. Una scelta precisa o il frutto del caso?
Assolutamente una scelta precisa, ho iniziato per divertimento con il live looping e col passare del tempo la cosa si è evoluta fino alla forma attuale. Quindi sì ho fatto tutto da solo, ho suonato tutti gli strumenti del disco e ho curato la registrazione, il mixaggio e il mastering. Il tutto nel piccolo studio che ho allestito a casa mia.
La tua esperienza musicale, sia da solista sia con gli Ataraxia, è vasta e si rivolge molto all’estero. Anche in questo caso pubblichi con un’etichetta inglese, fra l’altro. Pensi che anche questo disco avrà una buona accoglienza all’estero?
Sono molto soddisfatto di questo disco e spero che abbia un buon riscontro, sia all’estero che ovviamente in Italia.
Cosmos in Collision traccia per traccia
Si parte con una certa tranquillità: la prima traccia è The First Day of Autumn, capace di introdurre a ritmi e modi che pescano sì dal post rock ma che mantengono una certa elasticità di fondo.
C’è maggiore intensità e intenzione all’interno di Signals, che ha momenti più cupi e qualche inabissimento.
Questioni di illuminazione quelle al centro di Backlit, title track sempre ragionata come ritmi ma con un sentimento di crescita.
Si levano le onde di Infinite Waves, brano vasto e alto, con una buona base ricorsiva.
A metà disco ecco The Ascending Chain, che suona piuttosto ottimista e, a suo modo, spirituale. Memories last forever procede con calma e determinazione verso i propri orizzonti.
C’è un’aria più soft in Distant Dream, che ha un ingresso quasi trip hop nel pezzo, per poi sviluppare dinamiche fluide.
Voci dialoganti sullo sfondo e atmosfera fantascientifica quella di 1969, evidentemente propensa a celebrare il primo allunaggio.
L’album si chiude con Departure Song, altro brano che marcia diretto su ritmi piuttosto consistenti.
Disco interessante quello di Cosmos in Collision, in cui si trovano diverse sfaccettature che vanno dal post rock allo shoegaze, sempre gestite con padronanza, consapevolezza e ispirazione.