Si intitola 584 il nuovo album della cantautrice Cranìa.
Tutto prende vita dal rumore di un treno. La guida in questo viaggio è Venere, il pianeta della bellezza, che per me corrisponde alla musica. Qui la voce rotta, ma tagliente, si fa strada tra suoni ambient, code elettroniche e voli testuali. Tra i binari ci si imbatte in stelle, buio, muri, mancanze che diventano presenze, dettagli che sembrano istantanee. 584 sono i giorni che Venere compie per riportarsi in congiunzione con il Sole. 9 sono le tracce che la musica impiega per completare l’orbita. 584 è desiderare, come suona il brano “Nuovo memo 584”, che gli occhi brillino sempre di questa luce, questo fuoco che brucia quanto il Sole
Cranìa traccia per traccia
La parte sbagliata dei binari parte piano come suoni, ma forte per quanto riguarda le immagini: il brano si avvia gradualmente, in contrasto con la voce che insiste sul concetto di una non partenza.
Si segue il ritmo delle Mani per il brano successivo, che gioca con i battiti e cambia suoni in corsa, offrendo un panorama molto variegato, ricco di aperture e abissi.
Oceani in corridoio, pianoforte e percussioni di sapore tribale si racchiudono dentro Quattro mura, altro brano indagatore, che si aggira con più di un pizzico di tensione, ascoltando risate ormai lontane.
Arturo fa perdere la pazienza e forse anche la regolarità dei ritmi, in un brano che si fa sempre più dinamico, a dispetto di qualche pausa di ripensamento qui e là. Una canzone da leggere anche al contrario: ecco Palindromo, che parla di tremori e di freddo, mentre le sensazioni da lontane si fanno vicinissime.
La quasi title track Nuovo memo 584 restituisce le sensazioni di un’incisione volante, ma non è fatta per l’impermanenza e parla di desiderio, di stelle e di occhi. Denti da latte, destinati a cadere, sono i protagonisti del brano successivo, che parla di altri fenomeni passeggeri, mentre il ritmo si fa quasi ossessivo.
Una ricerca di piedi freddi, che trova soltanto il deserto, apre i battiti de Il giorno dopo ieri, un oggi che si fatica a pronunciare, nella disperazione elettronica di una notte che non vuole passare.
Un Cemento particolarmente pesante chiude l’album, con il brano forse più doloroso del lavoro intero: i suoni si fanno vibranti, perfino ronzanti, in un’uscita che non riesce a essere tranquilla.
Disco interessantissimo e molto piacevole, quello che ha pubblicato Cranìa: una ricerca sonora di carattere internazionale si interseca in modo fluido con le sensazioni trasmesse da testi molto intimi e introspettivi.