Carmine Tundo non è personaggio che ami particolarmente la stasi: mentre continua a portare avanti, con grande profitto, La Municipàl, cioè uno dei progetti indipendenti di maggior talento di questa generazione, e mentre (per ora) lascia in ghiacciaia un altro paio di iniziative come Nu-Shu e la carriera solista a proprio nome, il brillante musicista salentino ha lanciato un’altra carriera, questa volta a tinte decisamente più latine, come Diego Rivera. Gran Riserva è il nome vitivinicolo del primo disco di una trilogia, che però comprende anche un romanzo, testi poetici e molte storie di amore e morte. Lo abbiamo intervistato.
Raccontami come nasce il progetto Diego Rivera.
E’ un progetto che avevo in cantiere da un sacco di anni e non avevo mai avuto il tempo di portarlo a termine. Questo progetto nasce comunque dal voler sperimentare nuovi suoni. Io, di norma, ogni anno e mezzo o due sento proprio l’esigenza di ricominciare da zero con un progetto nuovo, proprio per avere quegli stimoli creativi, magari anche senza molte pressioni, rispetto a quando sei al terzo o quarto disco di un progetto. Quindi ho sentito l’esigenza di raccontare quest’altra parte del mio carattere e della mia visione.
Una sorta di rigenerazione continua…
Ogni progetto nuovo fa parte di un lato del mio carattere che sicuramente non è dei più semplici. Quindi cerco di esprimere in musica queste diverse sfaccettature.
Tra l’altro, a latere, vorrei anche capire com’è il giro dei featuring visto che ci sono dei brani in cui c’è “collabori” con La Municipàl e una in cui sei in featuring con te stesso…
Sì è un gioco che comunque faccio spesso nei miei album perché cerco sempre di far combaciare le diverse parti della mia anima che sono spesso contrastanti. Anche negli album de La Municipàl faccio featuring con Carmine Tundo… E’ come se facessi dei collegamenti interiori con le diverse parti di me stesso. Sperando che in futuro possano combaciare in un’opera unica.
Il mood morriconiano/desert rock/latin è una tua vecchia passione oppure una scoperta recente? E come hai capito che si poteva far dialogare il Salento con l’America Latina?
Questo parte anche da una ricerca interiore. Mio padre ha vissuto in Brasile per setto-otto anni quando era giovane. Inconsciamente ho assorbito i suoi racconti e nella mia testa ho fatto un parallelismo, ho come teso un ponte tra il Salento e il Sudamerica. Poi ci ho buttato dentro tutte le suggestioni sonore che mi sono scaturite nello scrivere queste storie.
Ho cercato poi di allargare l’immagine visiva e sonora come se fosse un film, dando anche una sceneggiatura in tutto l’album. Molte tracce sono anche collegate: io consiglio l’ascolto dall’inizio alla fine perché c’è proprio un senso sonoro e logico che collega tutte le tracce.
Peraltro ricordo la tua produzione solista a latere de La Municipàl e me la ricordo molto più elettronica e molto meno “latina”… Hai accantonato quella strada oppure ci saranno novità future?
Ogni progetto nella mia testa prevede almeno una trilogia, quindi quell’album lì come Carmine Tundo (“Nocturnae Larvae” di cui sono usciti i volumi 1 e 2 nel 2018, Ndr) prevede un terzo album. E poi quest’anno c’è anche l’uscita di Nu-Shu, che è l’altro mio progetto stoner, in cui suono la batteria e canto. Avendo il mio studio di registrazione e producendo io gli album ho la possibilità di sperimentare a 360 gradi e di divertirmi.
Infatti produrre quest’album come Diego Rivera è stato molto divertente perché non avevo mai prodotto un album così “pulito”, senza distorsioni, ed è stato bello spingersi al limite anche con i miei collaboratori.
Diciamo che non rischi la noia con tutti questi progetti in corso…
No, poi ovviamente in quest’ultimo periodo abbiamo avuto molto più tempo, con la pandemia e con i tour fermi, e sono riuscito a portare a termine molti progetti che avevo ancora in cantiere. Quindi sto mettendo a posto tutti i tasselli prima di andare avanti.
A quanto ho capito alcuni brani nascono in realtà come poesie. È un tuo procedimento compositivo “normale” oppure hai fatto un’eccezione per questo disco?
A volte sono partito dal testo, però in questo album in particolare c’erano queste poesie che erano lì accantonate e mi sono divertito, come sfida personale, nel riuscire a musicarle. Ed è molto divertente, è qualcosa che mi piacerebbe fare pure in futuro con altri dischi. Io di solito parto dalle frasi musicali, da suggestioni sonore, per poi costruire una storia all’interno e “buttarci dentro” il mio personale. Invece così è un procedimento inverso che è molto divertente.
Mi colpisce anche il lato “vinicolo” che hai scelto come veste esteriore, ma forse non solo, del disco. Sei un conoscitore della materia?
Sono un appassionato e tra l’altro quella macchina che c’è in copertina è un torchio per produrre il vino che c’è in cantina. I miei nonni producevano il vino, quindi diciamo che fa parte del nostro dna. Poi ho cercato di fare un parallelismo fra questo disco e un vino che invecchia: sicuramente è uno di quegli album che mi sentirei a mio agio a suonare fra dieci, venti, trent’anni. E’ un po’ più maturo da quel punto di vista.
Mi ci immagino anche a cinquant’anni, seduto su una sedia e un po’ stanco, a suonare questo disco… Rispetto ad altri progetti e ad altri dischi che sono magari un po’ più figli del loro tempo. Questo è un po’ fuori dal proprio tempo.
Diego Rivera è anche il protagonista del romanzo che stai scrivendo. È lo stesso Diego di Frida Kahlo? Ti va di raccontarmi qualcosa in più in merito?
In realtà il nome Diego Rivera l’ho utilizzato in onore di mio zio Diego che non c’è più e al quale ero molto legato. Poi comunque per assonanza c’è anche il famoso pittore… Però non è intenzionale, deriva da tutt’altro. Ma con i nomi a volte mi lascio prendere un po’ la mano.
Per il romanzo spero di portarlo a termine alla fine della trilogia di questi album. E’ qualcosa che va di pari passo con la narrazione. E’ tutto collegato a livello concettuale.
È inevitabile che ti chieda anche di Sanremo: ho trovato pazzesca la vostra esclusione già nel corso delle eliminatorie, ma ora che ho letto i nomi dei big, e ancora peggio dei giovani, la trovo completamente incomprensibile e anche irritante. Tu che mi racconti in merito?
Essendo un anno un po’ particolare e avendo alcuni album in uscita sarebbe stato un palcoscenico giusto per promuovere la nostra musica. Però ci sono tante strade: ora per esempio abbiamo firmato la sigla di un programma che andrà in Rai molto presto. Non ci ha dato molto fastidio, anche perché personalmente ho con le telecamere un rapporto un po’ particolare: quando posso, cerco di evitare, fino a quando proprio non posso farne a meno…