Divide by Zero è un progetto che nasce verso la fine del 2014 attorno a un nucleo proveniente da altre band ravennati (Pitch, Silvermood, Mr. Nothing, Renudo). Le passioni di base sono le stesse per tutti e partono dal post-punk inglese dei primi anni 80 per arrivare a Editors, Interpol e The National.
Nell’estate del 2015 mettono in circolazione il loro primo ep, omonimo e autoprodotto. Il nuovo ep si chiama Dreams of the City, in distribuzione digitale su Spotify, Apple Music e altre piattaforme di streaming.
Il vostro ep d’esordio risale al 2015. Che cosa è cambiato nei Divide by Zero in questi anni?
È cambiato molto, nel bene e nel male. Da un punto di vista musicale, sebbene alcune passioni di fondo rimangano sempre le stesse, abbiamo cercato di non ancorarci troppo alla nostra zona di comfort e di sganciarci da alcuni stilemi che iniziavano a starci un po’ stretti. In più, abbiamo deciso di lasciare definitivamente fuori dalla porta la tentazione di scrivere qualcosa che piaccia a tutti.
Poi soprattutto è cambiata la struttura della band: il nuovo ep è sostanzialmente l’ultimo atto dei Divide by Zero come formazione a cinque, visto che per un mix di motivi umani e logistici adesso siamo in tre e abbiamo una sezione ritmica elettronica.
Quella di non sostituire le persone che se ne sono andate è stata una scelta difficile all’inizio, ma ci ha permesso negli ultimi mesi di prenderci tutto il tempo che volevamo per scrivere nuovi pezzi e non metterci limiti su quello che stiamo producendo.
Direi che la passione per i suoni new wave (e per le ondate successive di new wave nel corso del tempo) non vi ha abbandonato per niente. Quali sono state le fonti di ispirazione per il nuovo disco?
La new wave e il post-punk ce li portiamo sempre nel cuore, un po’ perché il progetto è nato volutamente con quella caratterizzazione, un po’ perché per motivi anagrafici con quei suoni ci siamo cresciuti e sono quelli che ci fanno sentire bene quando suoniamo assieme.
Però, oltre ai “soliti noti” che puoi immaginare tranquillamente, ti posso dire che tra di noi ci sono grandi appassionati dei R.E.M., dei Pixies e dei The Sound; in più, per menzionare qualcuno non necessariamente collegato agli anni ’80, guardiamo con molta ammirazione ai The National.
Arrivate dalla zona di Ravenna eppure sia il suono dei vostri dischi, sia le foto che accompagnano l’ultimo hanno un impatto molto “urban”. Deriva da esperienze personali o si tratta di aspirazioni del tutto ideali?
Direi che quello che abbiamo in testa è assolutamente un ideale di città, un collage di città che abbiamo visto e città narrate da altri – che sia in un film, in un libro o in una fotografia. Abbiamo preso in prestito il titolo dell’ep da un fumetto di Neil Gaiman in cui si racconta che anche le città sognano, per cui il principio è lo stesso del sogno: è un assemblaggio di memoria, fantasia, paura, immaginario e non è detto che il risultato sia sempre necessariamente gradevole.
Come nasce “Features”?
Nasce per una serie di imprevisti successivi. Avevamo questo brano al limite del blueseggiante che ci piaceva, ma nel contempo ci suonava fuori fase rispetto a quello che facevamo di solito… in più sembrava le mancasse qualcosa. Abbiamo iniziato a giocarci e a sporcarla sempre di più con l’elettronica andando per tentativi, finché una sera è saltata fuori dalle casse nella forma in cui la senti ora e ci siamo detti “ok, funziona”.
A livello vocale non volevo rimanere nel solito registro, ma non avevo assolutamente le idee chiare: ho iniziato a cantarla in falsetto principalmente per prendere in giro gli altri della band, peccato che mi abbiano preso sul serio e abbiano insistito per mantenerla così… Ti confesso che ci ho messo alcune settimane per abituarmici.
Che cosa si deve aspettare chi viene a vedervi dal vivo? Quali sono le prossime date che avete in programma?
Purtroppo, a fronte dei cambi di formazione di cui parlavamo prima, adesso non abbiamo in programma di suonare dal vivo per un po’. Diciamo che ci piace immaginarci come una band da studio e ci godiamo il senso di libertà che ne deriva.
Non voglio escludere che magari fra qualche settimana possiamo cambiare idea e decidere di tornare su un palco con un sequencer e una drum machine, ma al momento preferiamo concentrarci su quello che stiamo facendo e vedere se ne può uscire un nuovo album. Al momento i presupposti ci sono tutti.
Divide by Zero traccia per traccia
Il primo brano dell’ep è una piuttosto marcata TDL, che si muove sotto cieli cupi e con un drumming molto regolare e presente.
Un po’ più leggera, con maggiori dosi di synth, (We are in the) Dreams of the City, quasi title track che prevede anche qualche cambio di ritmo, in mezzo a consistenti dosi di suoni new wave.
Come Break Me si mantiene distaccata e algida, ma con un fondo di malinconia sul quale muove i propri passi.
Con Features si torna a onde più lente e morbide, anche se la tensione percorre il pezzo ed esplode spesso, soprattutto nel finale.
Si chiude con Second Story Sunlight, dominata da sentimenti di tristezza, che sono soprattutto chitarra e voce a cercare di trasmettere, riuscendoci.
Passi avanti e una certa maturazione per i Divide by Zero, che arrivano a questo ep con qualche idea in più e con la solita provvista di suoni nostalgici sì, ma anche molto affascinanti.