Eraldo Bernocchi incontra Prakash Sontakke, un “Ry Cooder in versione indiana”: ne nasce Invisible Strings, un disco fluttuante tra atmosfere ambient, a cavallo di Est e Ovest, arricchita dai tappeti sonori di Bernocchi. I drones di Bernocchi si accompagnano alla chitarra esotica di Sontakke.
Eraldo Bernocchi e Prakash Sontakke traccia per traccia
Il primo brano, The last emperor walked alone, apre le porte sul disco con un passo cadenzato che già mette in evidenza le forti influenze orientali del lavoro. Anche Will You Stay si colora d’Oriente, ma l’attenzione si appunta sulla ritmica, sottile ma insistente.
From Star to Star mette in magiore evidenza le virtù strumentistiche, finendo per convogliare il discorso verso discorsi morbidi ed evocativi. The Invisible Ferry decide per ritmi più contenuti e abbassa la luminosità del pezzo, cercando di toccare corde più intime.
Sublime skies apre all’oscuro, salvo lascar trasparire squarci di luce improvvisa, portati per lo più dalla chitarra di Sontakke. Un po’ di malinconia si diffone su Bangalor electric, prima che i bassi prendano possesso della ritmica di un pezzo che si fa improvvisamente nervoso.
Purple Yellow mette in maggiore evidenza il lavoro dei droni, che disegnano labirinti molto articolati. Qualcosa di pinkfloydiano (forse più che qualcosa) emerge dal combinato disposto di Walking Backwards Again, con la chitarra che si avventura sulle note più alte. Si chiude con The Unsaid, che prosegue sostanzialmente sulle stesse linee del brano precedente, ma con ritmi molto più lenti e quasi funerei.
Disco e discorso interessante, quello che si stablisce tra Bernocchi e Sontakke. Le idee soffici si distendono su un disco con ritmiche consistenti e che dimostra diversi livelli di contrasto al proprio interno.
