Francesco De Gregori. I testi. La storia delle canzoni è il libro a cura di Enrico Deregibus (Giunti editore) che tratta, in oltre 700 pagine, i brani di uno dei cantautori cardine della storia della nostra musica. Il libro costituisce la continuazione di Francesco De Gregori. Mi puoi leggere fino a tardi, corposa biografia del cantautore che Deregibus ha pubblicato nel 2015, sempre per Giunti.
Il giornalista piemontese in questo nuovo volume si sofferma sulle canzoni, più di 200, che De Gregori ha inserito nei suoi dischi, con ampie e dettagliate schede che riservano molte sorprese anche a chi conosce bene l’artista romano. Ad accompagnarle, i testi di tutte le canzoni scritte da De Gregori, che li ha controllati e certificati in prima persona per evitare errori e refusi. Abbiamo rivolto qualche domanda a Deregibus.
Partiamo dalla domanda chiave: perché un libro sul “Principe”, e perché oggi?
Credo che quella che viene chiamata popular music abbia una enorme importanza nell’esistenza di tante persone, sia come semplice intrattenimento che come fatto culturale, di crescita personale. Quindi penso che i libri che ne approfondiscano tutti gli aspetti siano benvenuti, anzi siano necessari. Per quanto mi riguarda, un po’ per caso e un po’ per passione la maggioranza dei libri che ho fatto in vita mia sono su De Gregori. Ma sono convinto che sia un personaggio fondamentale nella storia della miglior canzone italiana, uno che ha fatto voltar pagina come pochissimi altri al modo di scrivere e intendere la canzone nel nostro Paese.
In questo caso mi sono soffermato sulle sue canzoni perché mi pareva ci fosse tanto da dire. E le 720 pagine del libro lo testimoniano, almeno spero. Penso ci fosse la necessità di raccontare le sue canzoni come non era mai stato fatto e di raccontarle sotto molti punti di vista, da quello compositivo a quello della contestualizzazione storica. E senza disdegnare l’aneddotica, la leggerezza. Poi su molte canzoni di De Gregori girano leggende metropolitane, per esempio che Generale l’ha scritta durante il servizio militare in Trentino e parla di terrorismo indipendentista o che Pianobar è dedicata a Venditti o che Buonanotte fiorellino parla di un incidente aereo. Era il caso di smentirle.
720 pagine con aneddoti, retroscena, dichiarazioni di De Gregori stesso e di collaboratori e amici. Quanto ci hai messo e quanto è stato difficile scrivere questo libro, compresa la (immagino immensa) fase di ricerca del materiale?
Questo libro in realtà è la seconda parte di una biografia del 2015 che si intitolava Mi puoi leggere fino a tardi e che a sua volta era la riedizione molto arricchita di una del 2003. Il lavoro che ho fatto è stato complessivo. Quindi potrei dirti che ci ho messo 20 anni, anche se ovviamente i mesi di chiusura dei libri sono stati molto intensi. In particolare quelli prima della biografia del 2015.
La ricerca delle fonti e dei riscontri è stata impegnativa ma anche divertente, calcola che complessivamente sono più di 2000 i documenti consultati e in buona parte utilizzati. Ma devo dire che non mi è pesato il lavoro, anzi se economicamente certi libri fossero più soddisfacenti ne inizierei subito un altro, magari su Paolo Conte, altro mio vecchio pallino.
C’è qualche aneddoto particolare legato al reperimento del materiale che vuoi raccontare?
Ricordo con piacere la ricerca nei mercatini e nelle fiere di vecchie riviste musicali e non musicali. È un lavoro da cane da tartufi. Per la biografia, che è strutturata anni per anno, uno dei problemi è stato datare alcuni eventi, relativi soprattutto ai primi anni. Un aiuto mi è arrivato da Ernesto Bassignano, uno dei cantautori che hanno iniziato la carriera al Folkstudio di Roma con De Gregori e che mi ha affidato molto generosamente un librone in cui aveva inserito dei ritagli di stampa dei loro primi concerti. Il problema è che non erano datati. Finché non ho avuto una illuminazione quando ho visto che sul retro dei ritagli c’era la programmazione dei cinema di Roma dell’epoca. Quindi andavo a cercarmi le date d’uscita dei film e con quelle risalivo alle date dei concerti. È stato un approccio un po’ da storico dilettante.
Se dovessi scegliere un solo contributo fondamentale che De Gregori ha offerto alla musica italiana, che cosa indicheresti?
Be’, sceglierne uno solo ovviamente non è semplice, perché credo che all’inizio degli anni ’70 il suo arrivo nel mondo musicale sia stata una una rivoluzione da vari punti di vista. Erano canzoni completamente fuori da ogni binario all’epoca e in parte lo sono ancora oggi. Forse il suo contributo principale riguarda la scrittura di testi che con lui cambia totalmente, saltano regole logiche e cronologiche, si pesca da un immaginario molto più ampio di prima, che va dalla psicanalisi alla politica, dalla letteratura al cinema cosiddetto alto, dalla pittura all’arte contemporanea. In qualche modo la canzone diventa adulta. Ma un’altra caratteristica sua che io apprezzo molto, anche se purtroppo ha fatto meno proseliti, è il legame con la tradizionale popolare italiana. Fra i cantanti italiani noti quasi nessuno ha seguito il suo esempio, tranne Carmen Consoli, Ivano Fossati e pochissimi altri. È un vero peccato.
In un recente intervento su “Repubblica”, De Gregori ha parlato del mondo della musica, ha evocato una possibile protesta sua e di altri super big tipo Vasco e Ligabue, e si è anche inventato un “Ministero del divertimento”. Qual è il tuo pensiero in merito? E come ne usciremo da tutto questo, secondo te?
Mah, il succo del discorso di De Gregori è: non ci considerate cultura? Va bene, però considerateci industria, perché siamo un’industria e per di più un’industria che non è tutelata. E allora a fianco al ministero della cultura fate un ministero del divertimento che pensi a noi. Nella proposta del ministero c’era ironia, anche se forse non è stata colta.
Teniamo presente che da sempre lui si è speso perché la canzone sia considerata cultura, la sua ma anche quella di Gigi D’Alessio, per fare un nome a caso, ma allo stesso tempo ha rivendicato il fatto che la canzone sia anche divertimento, tanto che non si è scandalizzato come tanti quando Giuseppe Conte ha parlato degli artisti come quelli “che ci fanno tanto divertire”.
La cosa su Vasco e Ligabue è finita nel titolo dell’articolo perché attira lettori ma è stata molto forzata se non storpiata. Lui ha scritto che il mondo della musica era consapevole della necessità di chiudere e civilmente ha accettato di farlo. E poi ha aggiunto che chissà cosa sarebbe successo se Vasco, Ligabue, Sferaebbasta o Achille Lauro avessero inscenato una protesta fuori da un palazzetto. E’ la rivendicazione di un atteggiamento ragionevole e paziente del mondo della musica durante la pandemia.
Da comunicatore posso aggiungere che è molto significativo che il suo sia stato un intervento e non un’intervista e che sia stato pubblicato su Affari e finanza, il supplemento economico di Repubblica. Credo che sia stata una precisa richiesta da parte sua. È un modo per sottolineare quello che dicevo prima, l’importanza anche economica di tutto il comparto musicale e di tutti quelli che ci lavorano. Ha sottolineato l’importanza dei club e degli artisti meno noti e ha cercato di fare proposte concrete in vista di una riapertura. Quelle del distanziamento, del tracciamento, ma anche quella di aumentare rispetto alla scorsa estate da 1000 a 2000 il numero massimo degli spettatori ai concerti. Questo perché con 2000 persone ci potrebbe essere più facilmente la sostenibilità economica degli eventi.
Questo nasce anche dal fatto che lui ama molto suonare, stare su palco. Prima della pandemia a differenza di molti suoi colleghi di popolarità simile alla sua, lui preferiva fare molti concerti in posti più piccoli rispetto a pochi in posti grandi.
Le nuove generazioni dei cantautori citano spesso i “vecchi”, ma si parla spessissimo di De André, Gaetano, Battisti, Dalla, Guccini, Battiato… Perché secondo te De Gregori è “meno popolare” fra i maestri riconosciuti dai vari Calcutta, Brunori, Motta?
Mah, sai che la mia impressione è diversa? Vedo che De Gregori viene spesso citato da artisti più giovani. Anche recentemente ho scoperto che sono suoi fan e che conoscono molto bene il suo repertorio anche meno noto personaggi come Franco 126 o ancora più giovani come gli Psicologici o Ariete. I Coma_cose poi hanno una vera venerazione per lui. Ma ce ne sono molti altri anche della generazione precedente, da Vasco Brondi a Iosonouncane. Pensa che proprio per questo anni fa avevo pensato di far rifare un suo disco a una serie di artisti del mondo indie che lo amano molto, un pezzo per uno. Il disco era quello che viene chiamato “La Pecora”, un disco indie ante litteram.
Ti racconto un aneddoto. Il disco si apre con Niente da capire e inizialmente non sapevo a chi affidarla. Poi ho avuto una folgorazione: i Massimo Volume. Avrebbero saputo secondo me renderla bene, facendola loro in tutto e per tutto, col recitativo e le chitarre acide. E il testo si prestava molto.
Dopo poco ho incontrato in aeroporto a Bari Emidio Clementi al ritorno da una edizione del Medimex. Gliel’ho proposto e lui mi ha guardato incuriosito ma un po’ spiazzato, forse poco convinto. Comunque il progetto poi è rimasto sulla carta perché discograficamente non c’era una etichetta che avrebbe potuto produrlo. Ho accantonato l’idea e fine lì.
Qualche mese fa ho fatto una intervista on line con Emidio per un ciclo di incontri che curo per Officina Pasolini. Nei giorni precedenti abbiamo fatto una chiacchierata al telefono e ci siamo ricordati di quella proposta che gli avevo fatto. Mi ha detto che l’idea lo aveva stuzzicato, aveva comprato il disco e aveva iniziato a pensarci su. Peccato, sarebbe stato bello vedere cosa veniva fuori. Chissà che in futuro non sia possibile realizzare quel progetto.
Che feedback hai ricevuto da De Gregori sul libro?
Be’, con me è sempre molto generoso di apprezzamenti, bontà sua. Dice che gli piace il mio modo di scrivere e quel mio approccio da storico dilettante di cui parlavo dicevo prima. E gli piace il fatto che non sia troppo accondiscendente. Anni fa mi aveva definito un estimatore laico, mi piace come definizione.
La sua prima telefonata, tanti anni fa, dopo l’uscita del primo libro su di lui, era stata ovviamente una grande soddisfazione per me. Aveva chiesto il mio numero di telefono al suo ufficio stampa di allora e mi aveva chiamato. Io ero in macchina, appena uscito dal dentista, me lo ricordo bene. Mi aveva detto cose molto belle, anche se non ha voluto collaborare con i libri successivi, per lasciarmi libero di scrivere quel che volevo, come dice lui. In quest’ultimo però mi ha proposto di inserire i testi delle canzoni delle sue canzoni a precedere le mie schede. È stato ovviamente un segno di fiducia nei miei confronti che mi ha fatto molto piacere, così come mi ha fatto molto piacere che abbia accettato il fatto che alcune delle mie schede siano critiche verso questa o quell’altra canzone.
Chiudo con una domanda impossibile: qual è la tua canzone preferita di De Gregori?
Di solito rispondo a questa domanda dicendo Caterina, perché è una canzone a cui sono molto legato. Fa parte di un disco, Titanic, che io amo molto, è il primo disco di De Gregori che ho ascoltato con una certa consapevolezza. Era il 1982, io avevo 15 anni e quella canzone mi piaceva in modo particolare. Un’altra potrebbe essere Bene, che è un brano dal disco della Pecora di cui dicevo prima. Per me è un suo capolavoro nascosto. Nascosto fino a un certo punto in realtà, perché ho scoperto negli anni che è molto amata da tantissimi suoi estimatori, specie quelli che hanno percorsi più alternativi diciamo così. Io poi amo in modo particolare due suoi dischi dell’ultimo periodo, due dischi opposti, che sono Pezzi del 2005, il disco più rock della sua carriera, e Sulla strada del 2012, l’ultimo suo disco di inediti, delizioso, una prelibatezza secondo me. Li trovo due dei suoi più bei dischi in assoluto e zeppi di canzoni di grande intensità anche se inevitabilmente meno conosciute rispetto a quelle dei dischi del periodo classico.