Con l’umile ma malcelata ambizione di fornire ai lettori di TRAKS qualcosa di “diverso”, che si possa leggere accanto, insieme, sopra e sotto la musica che accompagna le nostre giornate, questo agosto abbiamo deciso di proporre o riproporre alcuni articoli monografici che abbiamo scritto in passato, per lo più su altre testate, e che non volevamo andassero persi. Letture estive, ma anche per ogni stagione.
Ipotizziamo un amore. Il più grande. L’amore per cui abbiamo perso il sonno, l’appetito, la lucidità. L’amore che ci ha visti folli, onnipotenti, affamati. L’amore che ha scavato solchi profondi sulle guance, nel cuore, nell’anima. Ecco. Quell’amore, il vostro amore, scompare, se paragonato al suo.
L’amore e la malattia. L’amore è malattia. Che ne sapete voi?
La poliomielite, l’incidente, il primo, con un tubo di ferro che la trapassò da parte a parte a diciotto anni. Nove mesi a letto, ingessata dalla vita in giù, in cui ha partorito se stessa, la sua ostinazione, il suo desiderio di vivere come lei voleva e lo sguardo fiero di chi resiste. Il suo essere arte comincia su quel letto, su quel gesso, su cui quasi per gioco inizia a dipingere. Ed ecco che non le basta più il gesso, non le bastano le farfalle e i fiori. Deve dipingere se stessa, il soggetto che conosce meglio e che carica di simboli, sottintesi, particolari sempre diversi.
La riabilitazione, lenta, e l’incidente, il secondo, Diego Rivera. Lei 22 anni, lui 45. Lei, esile e bellissima, di una bellezza furiosa, elegante, nobile. Lui massiccio, ingombrante, storpio, ma affascinante e carismatico. Si sposano, subito. Ma non sarà mai suo. Diego è di se stesso. Frida può soltanto stargli accanto. Renderlo ossessione. L’amore è ossessione. Che ne sapete voi?
I primi dipinti, per il proprio piacere, per ingannare il tempo mentre Diego è fuori, per guadagnarsi da vivere. Nessun vincolo, nessun padrone. 140 dipinti, 60 autoritratti. Mai un sorriso. Solo il marito la dipingerà sorridente, dopo la sua morte. Di sé, esiste solo la brace dei suoi occhi, neri, grandi, profondi. Che cercano di uscire, che cercano il conforto di chi li osserva, dall’altra parte della tela. “Non lasciarmi sola, almeno tu. Non dimenticarmi”. La vita di Frida ha senso solo nella comunione della anime. Con quella di Diego, con quella di chi sente la sua arte. E se può abituarsi al dolore, non riuscirà mai ad abituarsi alla solitudine. L’essere sola accanto ad uomo che è la sola ragione di vita. E di morte. L’amore è fino alla morte.
Gli aborti, numerosi, che tingeranno di rosso le sue tele, i suoi pensieri e le sue lenzuola. Il suo corpo non era abbastanza forte, abbastanza accogliente. L’amore con Diego, l’origine senza destinazione.
Tenterà il suicidio due volte, dopo aver subito trenta interventi chirurgici. Facendosi beffa dei medici, delle cure, della sua forza. Dalla malattia si può anche guarire, dal suo amore no. Diego è parte di lei, una parte imprescindibile, che nessun medico potrà mai amputare; Diego è il virus che nessun farmaco potrà mai sconfiggere.
I tradimenti, innumerevoli, reciproci. Lui per necessità, lei per ripicca. Per dimostrare di poter fare altrettanto. Per mostrare a se stessa e all’uomo che la abita che le alternative esistono, ma non contano. Frida non vuole altro che Diego. Comunque. Incondizionatamente. Perché sa che tornerà sempre da lei. L’amore è fare ritorno, a ogni costo.
Diego domina i suoi pensieri. Lo dipingerà al centro della sua fronte, con il volto rigato di lacrime. Lo dipingerà nudo, tenendolo in grembo, come in una natività, in cui lei stessa è figlia dell’universo. Lo dipingerà anche senza accorgersene, dando le sue sembianze a un Mosè in culla. Mai surrealista, perché la sola cosa che Frida sa fare è trasferire su tela la realtà che sente, mescolando colore e sangue, colore e lacrime, colore e sudore. Si lasceranno, per poi sposarsi di nuovo. L’amore è colore e ostinazione. Che ne sapete voi?
“Dire “in tutto” è stupido e magnifico.
Diego nelle mie urine
Diego nella mia bocca
nel mio cuore – nella mia follia – nel mio sogno
nella carta assorbente – nella punta della penna
nelle matite – nei paesaggi – nel cibo – nel metallo
nell’immaginazione.
Nelle malattie – nelle rotture – nei suoi pretesti
nei suoi occhi – nella sua bocca
nelle sue menzogne“.
Frida vivrà nella speranza di averlo completamente. Diego vivrà nella consapevolezza di averla sempre avuta completamente. Scriveva poesie, lettere, frasi. Per suo marito spesso, per i suoi amanti talvolta. Scrivere e dipingere per dimostrare il suo passaggio, la sua esistenza. Per provare a spiegare.
“Nessuno saprà mai come amo Diego. Non voglio che nessuno lo ferisca, che nessuno lo disturbi e gli tolga l’energia di cui ha bisogno per vivere, vivere come vuole lui. Dipingere, vedere, amare, mangiare, dormire, sentirsi solo, sentirsi in compagnia; ma non vorrei che fosse triste. Se io avessi salute vorrei dargliela tutta, se io avessi gioventù tutta la potrebbe prendere.“
L’aggravarsi della malattia, l’amputazione della gamba, la sedia a rotelle; gli eventi sembrano passare su di lei come su di un albero, piegato dal vento ma sempre in piedi sotto la tempesta, fino al giorno della sua morte. Verrà cremata, le fiamme la divoreranno e di tutto questo amore rimarrà solo un mucchio di cenere. Cenere di cui Diego si nutrirà, celebrando il desiderio di comunione che ha accompagnato Frida per i venticinque anni passati accanto a lui. Sempre troppo tardi. Sempre troppo.
Questo articolo è apparso originariamente sul blog mollybrown.it