Ghiro è Luca Schiappacasse (Genova, 18/12/1991), chitarrista, cantautore e polistrumentista ligure. Il canto dei Boschi è il titolo del suo album d’esordio da solista.

Già chitarrista dei Tribauta – Keltic Sound (eclettico gruppo irish del ponente ligure), è anche chitarrista e co-fondatore della Ponente Folk Legacy (non ordinario gruppo Balfolk/Neo trad), nonché dei Cabit (gruppo genovese di musica tradizionale, specializzato nella tradizione musicale natalizia ligure).

Inoltre, dal 2018, cura ed esegue in studio e dal vivo gli arrangiamenti delle chitarre elettriche per il disco La tuta di Goldrake di Brilla (cantautore indie-pop ponentino). Nel frattempo scrive canzoni per la pura esigenza di scrivere e le porta in giro nei concerti dal vivo (per lo più affrontati in solitaria), alternandosi a diversi strumenti a corda come chitarre, dobro, mandolino e bouzouki greco, in una performance multiforme.

Quando hai capito che era il momento di tentare l’avventura da solista?

Per la verità è stato un percorso che ho sempre coltivato in parallelo alla mia attività di strumentista in altri progetti, sin da quando avevo 16 anni, quando mi cimentai nei primi tentativi di comporre canzoni. Per anni, però, ho considerato la mia attività di chitarrista completamente scissa da quella di scrivere canzoni da solo: volevo essere un “cantautore vero”, nel senso più tradizionale del termine, ma la verità è che non penso faccia per me.

Poi, durante il mio ultimo anno di università (2015-2016) ho iniziato a collaborare in duo con un altro chitarrista (Leandro Beikes, il duo si chiama tuttora Geco&Ghiro), il cui obbiettivo artistico è quello di unire la nostra passione chitarristica (lui classica, io fingerstyle) alla forma cantautorale.

Fu tramite questa esperienza che capii che, se volevo portare avanti un progetto solista che mi desse soddisfazione e mi rappresentasse, dovevo rimanere saldo su quello che mi riusciva bene, ovvero suonare. Per quello ho poi mantenuto il soprannome di Ghiro.

Hai riversato nel disco la tua esperienza da chitarrista e multistrumentista. E’ più semplice quando si lavora soltanto per se stessi oppure è più facile in gruppo?

Personalmente, mi risulta incredibilmente più complesso lavorare in solitaria perché, nonostante mi reputi un giudice piuttosto severo di ciò che scrivo, mi viene difficile giudicare obiettivamente la qualità dei brani, delle registrazioni, eccetera. Il processo per arrivare ad un prodotto finale è molto lento, dalla fase compositiva fino ad avere in mano il disco o alla cura della performance, inoltre in contemporanea ti devi fare carico di una parte logistica non indifferente.

Il Canto dei Boschi ha richiesto quasi due anni per uscire e, se da un lato la lentezza può essere frustrante alle volte, lavorare seguendo i propri ritmi e le proprie inclinazioni regala una soddisfazione impagabile, al di là poi del “successo” di mercato del disco in sé.

Invece nel gruppo, se il gruppo funziona bene, tutto il lavoro è equamente distribuito, vi sono più energie in campo, si ha sempre un riscontro esterno riguardo alle proprie idee e i tempi si velocizzano. D’altro canto bisogna lavorare in maniera dialettica e cercare di incastrare le proprie idee con quelle altrui, ma spesso si raggiungono risultati migliori.

Come nascono le canzoni di questo album?

Sono canzoni che ho scritto in un periodo di transizione della mia vita, tra la laurea in Filosofia e l’anno di ricerca del lavoro che ne è seguito (il 2017). In quell’anno di ricerca ossessiva di una strada da seguire, sentivo il peso del tempo e l’esigenza di dover fare il punto su ciò che ero. Così ho riversato nella chitarra quello in cui credevo, i ricordi, le paure, ma anche e soprattutto le letture che mi hanno accompagnato (non a caso il titolo del disco richiama l’opera di Thoreau).

Il lato positivo del non trovare lavoro è sicuramente il tempo libero, che mi ha permesso di compiere un lavoro meticoloso di ricerca fuori e dentro di me. Ora, ho la speranza che qualcosa di così personale possa arrivare anche ad altri.

Le influenze folk, il titolo e le foto fanno presumere una nascita “boschiva” delle tue canzoni. Ti capita davvero di scrivere all’ombra degli alberi?

Sarebbe molto suggestivo risponderti “sì, mi siedo sotto un albero con la chitarra e lascio che le foglie mi sussurrino cosa scrivere”, ma la verità è semplicemente che, come per molti altri, la mia terra è sicuramente una delle influenze artistiche più forti. Sebbene viva in riva al mare, la parte di Liguria in cui mi trovo a vivere (Ponente, provincia di Imperia) è composta essenzialmente da colline irte, montagne e boschi.

Non ci sono città vere e proprie e, appena abbandonata la costa, anche solo di pochissimi chilometri, ecco che la natura regna rigogliosa e il suo richiamo è irresistibile. Detto questo, sono un passeggiatore cronico e passeggiare nei boschi è per me il modo migliore che ho per dare forma ai pensieri. Insomma, non ho mai scritto una canzone sotto un albero, ma il bosco è parte integrante del mio processo creativo.

So che hai collaborato al disco di Brilla, di recente. Com’è andata? E se dovessi scegliere, con chi vorresti collaborare nel prossimo disco?

Brilla e i suoi musicisti sono persone fantastiche, coi quali mi diverto molto a lavorare. Il merito di Brilla è certamente stato quello di farmi rispolverare la Telecaster e tornare per un po’ a vestire i panni del chitarrista elettrico. Arrangiare le chitarre dei suoi brani è stata una bella sfida, che rifarei volentieri. Mi piace vedere come prendono forma dei brani, prima spogli e poi vestiti di suoni da ogni musicista che partecipa al lavoro.

I brani per un prossimo disco sono quasi pronti, ma con chi collaborerò dipenderà molto appunto dal “vestito” che vorrò mettere loro. L’assetto folk chitarra-voce rimane saldo (anche perché per lo più dal vivo suono in solitaria), ma non escludo incursioni elettroniche o più rock. Sicuramente una cosa che mi piacerebbe molto sarebbe coinvolgere molti dei musicisti con cui lavoro in altri progetti, ma vedremo: come ho già detto, seguo il mio passo, con la lentezza di cui ha bisogno.

Ghiro traccia per traccia

Si parte subito con dinamismo: la prima traccia è In Cammino, che canta e balla su ritmi di folk dalle tinte celtiche.

Molto più tranquille e anche malinconiche le tinte di cui si veste Canzone d’inverno, almeno sulle prime. Poi però si prende a ballare quando arriva il cantato, con toni da chansonnier.

Piuttosto intense anche le volute che si scoprono in Fiato di vento, che si incammina sui sentieri dei ricordi d’infanzia.

Intensa anche Dal colore dei tuoi occhi, anche più intima, anche per opera del violino. Qui il “pescatore di pensieri” si adopera per una canzone ricca di riflessioni.

Chitantropia mette in pista sentimenti più ricchi di contrasti, con qualche espressione di forza e una sorta di fusione tra strumento e uomo.

Si fa riferimento al classico letterario per eccellenza del ritorno alle radici, Walden, romanzo autobiografico ottocentesco di Thoreau, che quella strada la percorse davvero: il brano porta in evidenza la nuda bellezza della natura, a colpi di chitarra e con qualche coro.

Movimenti più soffici quelli che introducono a Come un fiume, scorrevole e alla ricerca di libertà, con un’integrazione armonica tra gli strumenti. Il finale regala un’esplosione di energia piuttosto sorprendente.

Si finisce con L’onda, che rotola con calma, avvolgendosi intorno ai suoni della chitarra, con più di qualche richiamo alla canzone d’autore.

Ghiro esordisce con una certa consapevolezza: non è proprio un novellino e si sente dalla padronanza non soltanto degli strumenti, ma anche della canzone, sempre studiata nei dettagli ma sempre fluida e naturale nel proprio scorrere.

Genere: folk

Se ti piace Ghiro assaggia anche: Andrea Franchi

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