Si intitola Infinite possibilità per esseri finiti il nuovo album firmato e pubblicato da Giovanni Truppi: un lungo racconto, come lo definisce lui stesso, declinato in diciotto canzoni che certificano ulteriormente l’abilità e la singolarità del pensiero e della musica del cantautore.
Truppi sui social scrive così:
Infinite possibilità per esseri finiti, è il mio quinto disco. È un disco che parla di stare insieme, a diversi livelli, e forse non è un caso che sia il mio disco al quale hanno collaborato più persone. È prodotto da Marco Buccelli e Niccolò Contessa, che ringrazio per questo viaggio, ed è scritto da noi tre più Pacifico in Temporale e Brian e Roger Eno in Passeggiando un sabato sera per via indipendenza ascoltando la nuova canzone dei fratelli Eno. Ci suoniamo io, Marco, Niccolò, Giorgio Maria Condemi, Xenia Rubinos, Karna Ray e il piccolo Giovanni Gurgo.
È stato mixato da Andrea Suriani, la copertina è di Aldo Giannotti, la foto della copertina è di Francesca Sara Cauli. L’artwork è di Valerio Bulla. Grazie a Emiliano Colasanti, Gabriele Minelli e Giuseppe Giacomo Ponti. Anche se non l’avevamo pensato dall’inizio, ci siamo accorti che funziona come un racconto quindi, se potete, è meglio ascoltarlo dall’inizio alla fine. Ciao.
Giovanni Truppi traccia per traccia
Immagini di piscina e di palestra aprono il disco nell’Intro: una quotidianità semplice (paragonata peraltro a un ginnasio greco del IV secolo), per dichiarare la fortuna di vivere. Con qualche giusto distinguo finale.
Centocelle accelera di botto e racconta storie, anzi richieste, di quartiere, incastrate tra l’impero romano e la gentrificazione. E’ il Truppi frenetico che si prende carico di un brano come questo, un po’ punk ma con il pianoforte, sicuramente incontrollato nel suo generale mantenimento del controllo.
Terza traccia del disco è la ben nota La felicità, che è sostanzialmente un altro elenco di cose, lennonianamente, successe mentre si cercava la felicità, appunto. Una ricerca infinita che in realtà si scontra con la transitorietà delle cose.
Dopo il breve intermezzo Donut I, ecco il decollo fantascientifico di Moondrone, che in realtà inizia a parlare di chi muore prima all’interno della coppia. E poi racconta tantissimi dettagli dell’amore, dell’innamoramento, del sentimento, declinati in modo poetico ma senza uscire mai dal concreto.
Un racconto di inizio primavera si concretizza in Burger King, prima che la chitarra elettrica prenda possesso di Alcune considerazioni, che parla di posti segreti e di poesie che arrivano all’improvviso, senza annunciarsi. La casualità che guida la vita e le domande comuni a tutti (più o meno: io la cosa dei gabbiani non l’ho mai pensata, per dire) riempiono un brano abbastanza aggressivo.
Al contrario parte pianissimo Amarsi come i cani, in cui il pianoforte regge le fila di un pezzo che però si mette anche a urlare e si riempie di battiti. La capacità di Truppi di parlare in modo realistico e vivido di sesso senza perdere una stilla di melodia e di dolcezza è francamente unica.
Le persone e le cose è esattamente quello che descrive il titolo: una serie di figure e di oggetti, con un tono che propende verso il malinconico. Donut VI fornisce qualche onda di pianoforte, mentre Amico oscilla e si fa prima elettrica e poi corale, poi parte un mantra martellante e abbastanza sconfortato. Per poi lasciare spazio a uno stream of consciouness in salsa electro.
Dopo la Donut XVII, ci sono Infinite possibilità, che vira quasi verso la techno-industrial, con un testo sostanzialmente sussurrato. Per raccontare tutte le opportunità che si aprono davanti, con un progetto di società possibile che emerge tra i versi. Che finisce con una proposta di iniziativa politica che può avere un qualche riscontro pratico.
Temporale viaggia invece sulla dimensione privata, con dolcezza e qualche ulteriore oscillazione sonora, per uno dei brani più morbidi del disco. Altro tipo di morbidezze ne L’uomo buono muore, narrazione con ulteriori escursioni nel surreale.
Ultimo giro di pianoforte per Donut XV, che lascia spazio a Camminando per via Indipendenza un sabato sera ascoltando la nuova canzone dei fratelli Eno, in cui c’è spazio per gli archi, i bambini, i vecchi, gli animali, i ragazzi e la voce di Dio, che però ignoriamo.
Si chiude con Fine, ultimo brano in spoken words sui privilegi dell’uomo bianco occidentale e sulla possibilità di cambiare concretamente il mondo.
Che la voce di Giovanni Truppi sia una delle più originali del contemporaneo è ormai una banalità. Però è vero e si conferma nel nuovo album, che non risente minimamente dell’aumento di popolarità seguito a Sanremo e che costruisce in totale libertà un universo di concetti e riflessioni senza mai rinunciare alla ricerca sonora.
Per certi versi Truppi sembra impermeabile: non che il palco dell’Ariston lo abbia trasformato in una rockstar (un’apparizione come quella cambia più la vita di un Tananai che di un Truppi, è ovvio), ma è come se Giovanni avesse scrollato le spalle e avesse ripreso a fare i dischi che faceva quando era indipendente e non se lo filavano in molti.
Anzi, meglio: ora ci sono Infinite possibilità, appunto. Oddio infinite magari no, ma può scegliersi produttore, musicisti, collaboratori e mettere in musica al meglio la propria libertà. E ciononostante (o forse proprio per questo) non fa un disco pieno di featuring, ma prosegue coerente nel proprio percorso singolare, regalando un disco molto parlato ma anche con alcune piccole gemme pop che ne conferma tutto quanto di buono (ed era parecchio) ne abbiamo pensato, detto e scritto finora.
Genere musicale: cantautore
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