Vinicio Capossela è uno che ha sempre fatto le cose con una certa calma. Perciò se intitola il suo nuovo Tredici canzoni urgenti, le possibilità sono due: o ci sta prendendo in giro, oppure ha davvero urgenza e bisogna prenderlo sul serio.
La risposta rimane incerta, ma c’è senza dubbio urgenza di ascoltare le nuove canzoni di Capossela, che si reimmerge (parzialmente) nel presente dopo varie escursioni nel passato, confrontandosi sicuramente con le angosce presenti, e talvolta anche con suoni e personaggi del tutto appartenenti alla musica di oggi.
Vinicio Capossela traccia per traccia
Note di pianoforte e una malinconia dolce per l’incipit di Il bene rifugio, che apre il disco raccontando un certo numero di disgrazie che affliggono il mondo di oggi. Ci si può rifugiare soltanto nell’amore, suggerisce il brano, quando cade il cielo, indugiando in qualche descrizione, tra l’economico e il fisiologico.
C’è un po’ di blues (con un pizzico di fanfara e un che di Tom Waits) in All you can eat, un invito a esagerare evidentemente parodistico, che fornisce suggerimenti con un’ironia molto amara: “Se non c’è più speranza allora mangia”.
La parte del torto si insinua sottovoce, fornendo spazio a una serie di mostri contemporanei. La citazione del titolo è brechtiana, ma Vinicio capovolge il concetto e lo adatta alla maggioranza dei votanti di oggi: La parte del torto, semplificando, è quella che sta al governo oggi, capace di puntare il dito contro gli altri e di accogliere fra le proprie fila razzisti, nazionalisti e personaggi equivoci, giustificandosi con il mantra “tutti parte del torto/non c’è parte del giusto”.
C’è Mara Redeghieri per duettare sulle Staffette in bicicletta, canzone delicata che elenca nomi di donne (“che sanno di bucato”) e imprese eroiche che hanno regalato la democrazia a questo Paese: “Questa è la libertà/azione e responsabilità”.
Altre collaborazioni sono quelle con Bunna, Sir Oliver Skardy e Raiz per Sul divano occidentale, semicitazione da Goethe per un brano particolarmente adrenalinico, quasi synth pop, per raccontare l’indifferenza nei confronti delle tragedie altrui.
Una certa solennità si intuisce ne Gloria all’archibugio, una canzone “alla Capossela”, con tutti i barocchismi e le marce e l’ironia che gli si conoscono da sempre. Qui si parla di quelli che scelgono di “fare un deserto e chiamarlo pace”.
Un incontro tra poesia e politica, però con svariate pennellate di storia, è quello narrato da Ariosto governatore, con riferimento al periodo in cui l’autore dell’Orlando furioso fu in carica in Garfagnana, a contrasto dei briganti e alla ricerca del senno, che però è volato sulla Luna, e sulla Terra non è rimasta che follia.
Già presentata come singolo, anche La crociata dei bambini si ispira a un episodio (forse) storicamente avvenuto e di cui hanno scritto in molti, tra cui Brecht e Mishima (e anche Sting con The Children’s Crusade). La canzone è estremamente dolce e triste, con pianoforte, archi e tutta la malinconia di cui l’artista è capace.
Margherita Vicario presta la voce a La cattiva educazione, che prende a prestito concetti legati a Bella ciao per raccontare, con delicatezza e rabbia, episodi di vita quotidiana e di maschilismo tossico.
Altre prigionie quelle raccontate in Minorità, altro brano suggestivo ed eseguito quasi con cautela. Invece si procede più spediti nel Cha cha chaf della pozzanghera, un balletto con un che di infantile ma anche questo perfettamente organico alla produzione “classica” caposseliana.
Altre danze quelle che celebra Il tempo dei regali, con baci che fioriscono alle labbra, garofani e cappelli. Peccato che tutto sembra passato, in una canzone nostalgica ma senza eccessi di dolore. Sarebbe già questo un congedo, ma per completare i concetti arriva un’ultima ballata morbidissima, Con i tasti che ci abbiamo, uscita intima e ancora sussurrata.
Dopo tanta ricerca su e giù per la storia, dopo l’inseguimento alle melodie e agli strumenti antichi, dopo i bestiari e dopo tutto quello che ha regalato nel corso degli anni, Vinicio Capossela prova a regalare qualcosa a se stesso, parlando in modo particolarmente personale anche quando sembra parlare in generale.
L’urgenza è probabilmente tutta qui: non nella velocità di buttare fuori qualcosa a tutti i costi, come da caratteristiche di molta musica in uscita oggi e alla quale Vinicio continua a non appartenere. Ma nella voglia di esprimere, forse questa volta in maniera più diretta e anche più semplice, alcuni sentimenti che gli erano rimasti in carico. Si direbbe che abbia fatto molto bene, perché ci ha regalato un altro disco da ascoltare e da proteggere, con cui ridere e piangere, come da classiche caratteristiche della sua migliore produzione.
Genere musicale: cantautore
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