I Selvaggi pubblicano il nuovo album Granelli di sale, quinto lavoro della folk band nata a inizio anni 2000. Quello dei Selvaggi è un folk intriso di sonorità celtiche, rimandi alla scuola milanese dei primi ’60 di Svampa e Jannacci, viaggia Oltreoceano per incontrare Springsteen e rientra ai piedi delle Alpi con riferimenti all’orobico Van De Sfroos e ai camuni Canossi dei LUF e Ducoli.
Nati attorno alla metà degli anni Novanta, i Selvaggi pubblicano quattro album: al debut En dialèt (2003), seguono Quàrt dé lüna (2011), Piombo, ferro e chitarre (2014) e Sui nostri passi (2016).
I Selvaggi traccia per traccia
Si parte da Cento cartucce, canzone di battaglia, che parla di Alpini, di cime “di ghiaccio e granito”, con suoni classici della tradizione folk celtica.
Tradizione che si perpetua con la ballata Francesco, ritmata e cantata in dialetto. Più leggera e ironica Lo chiamavano Jimi, ambientata nella neve e sui sentieri di montagna, con citazione finale da Bob Geldof.
Si torna al dialetto con El Turnidur, in compagnia di Dellino Farmer, con un cantato molto fitto e corale.
C’è un certo romanticismo in Terra, non rivolto a una donna ma al suolo d’origine. Si riprende a svariare e a correre con Fomega ‘l tributo.
Un po’ più tranquilla Pagherès, in compagnia di Claudia is on the sofa. Violino e molta intensità arrivano a ondate all’interno di Puntalmana.
La voce ben nota di Stefano Cisco Belotti emerge da Per un pugno di sale, probabilmente la canzone più solida del disco.
Ultimo ospite del disco è Alberto Visconti, nella molto gioiosa e un po’ animalesca Il cane con gli stivali.
Altra escursione nel dialetto quella di una molto vivace Bala e tambala. Si torna a parlare di guerra nella ballata intima Il sentiero dei fiori.
Ultimo brano dell’album A piedi nudi, che esce dal disco con una certa baldanza.
I Selvaggi mostrano (spesso) il lato allegro e festoso del folk, perfetto per le feste all’aperto e per concerti dal sapore antico.