(Irene) Ho incontrato Fabio per la prima volta a un suo concerto. Non ci eravamo mai incontrati di persona. Un amico comune ci ha introdotti e dopo pochi convenevoli Fabio mi chiede subito di scrivere assieme dei pezzi, come avesse meditato questa proposta da tempo.
(Irene) Subito. Al primo tentativo era già chiaro che ci saremmo incastrati senza troppi compromessi. Ci siamo messi davanti a un microfono. Fabio aveva scritto un testo e aveva in testa un riff di piano. Mi ha detto: canta. E io ho cantato quelle parole senza pensarci un attimo. Come se la melodia fosse già dentro e a me non bastasse che portarla alla bocca. Nel giro di una decina di giorni tutti i brani del disco erano stati composti.
(Irene) Perché è un capolavoro. Armonicamente complessa, classica ma mai stucchevole, per niente prevedibile, con un testo toccante. A me piaceva l’idea di cantarla. Ancora adesso quando la riascolto mi sembra che Fabio la canti per me e questo mi commuove.
Marvis, un progetto estetico
L’incontro con Francesco Enea e Sara Battiliana, da questo punto di vista è stato determinante. Abbiamo già altri progetti in cantiere molto diversi tra di loro. L’esigenza di un’etichetta (che a sua volta si lega a un’altra etichetta, Bassa Fedeltà) nasce dalla volontà di indipendenza.
(Fabio) Ho curato io tutto l’aspetto della produzione tecnica dell’album (tranne il mastering) e mi sono servito di due computer (con software professionali ma molto comuni), un vecchio Roland DJ70 (un campionatore che usavano i dj agli inizi degli anni 90…) e un paio di sintetizzatori della Korg. Poi abbiamo aggiunto un violoncello e qualche chitarra acustica.
(Fabio) Abbiamo idee diverse io e Irene a proposito e perciò nomi diversi; per dare una risposta che non sia sbilanciata posso dire che ci piacciono quelli più outsider, quelli che non fanno dischi in un certo modo perché in quel momento è di moda farli così. La cosiddetta musica indie in Italia va un po’ in questo modo creando filoni interminabili di album simili.
Ma ci sono songwriter molto bravi (tipo Iosonouncane, per dirne uno), quelli potrebbero davvero essere più indipendenti (parlo di indipendenza personale, di libertà creativa) e stupire ancora di più, creando un nuovo ordine di idee sul cantautorato.