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Nascono dall’incontro tra Irene Ghiotto e Fabio Cinti i Marvis, progetto che ha portato al primo disco The Thin Lie: il disco d’esordio della band è ancora scaricabile in free download fino a domani cliccando qui. Dialoghi tra voci diverse e tappeti elettronici contraddistinguono un disco (che abbiamo recensito qui) e del quale abbiamo chiacchierato con Irene e Fabio.
Potete raccontare come nascono i Marvis?

(Irene) Ho incontrato Fabio per la prima volta a un suo concerto. Non ci eravamo mai incontrati di persona. Un amico comune ci ha introdotti e dopo pochi convenevoli Fabio mi chiede subito di scrivere assieme dei pezzi, come avesse meditato questa proposta da tempo.

Aveva già concepito il progetto di produrre un disco di brani in inglese e gli serviva una spalla, voleva che fosse un duo. Voleva sporcarsi le mani con altre mani. Si è fidato dell’istinto, ci abbiamo provato e ci è pure piaciuto. Ho detto di sì subito, perché avevo molto da imparare e molto di che stupirmi.
Quando avete capito che le vostre modalità di scrittura potevano integrarsi?

(Irene) Subito. Al primo tentativo era già chiaro che ci saremmo incastrati senza troppi compromessi. Ci siamo messi davanti a un microfono. Fabio aveva scritto un testo e aveva in testa un riff di piano. Mi ha detto: canta. E io ho cantato quelle parole senza pensarci un attimo. Come se la melodia fosse già dentro e a me non bastasse che portarla alla bocca. Nel giro di una decina di giorni tutti i brani del disco erano stati composti.

Non siamo sempre perfettamente compatibili nel processo della costruzione della canzone, ma proprio per questo ci integriamo agevolmente. Abbiamo vissuto il momento della scrittura con entusiasmo, nutrendoci delle diversità reciproche e stupendoci di trovarci dentro a un ingranaggio magico di sintonia creativa. Non abbiamo giudicato, non ci siamo rubati idee, non abbiamo rivendicato primati ma solo navigato a vele spiegate, trascinati da un’energia naturale e sincera.
Perché la cover di “She’s Always a Woman”?

(Irene) Perché è un capolavoro. Armonicamente complessa, classica ma mai stucchevole, per niente prevedibile, con un testo toccante. A me piaceva l’idea di cantarla. Ancora adesso quando la riascolto mi sembra che Fabio la canti per me e questo mi commuove.

Marvis, un progetto estetico
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Insieme al disco, avete dato molta attenzione anche l’artwork coinvolgendo altre persone e avete fondato anche un’etichetta. Come e perché avete deciso di andare oltre l’album e fornire un supporto completo al progetto Marvis?
(Fabio) L’idea di collaborare con persone con attitudini e competenze diverse è sempre molto allettante per me e quando le cose vanno bene, quando ci si intende, vengono fuori cose strepitose. Il progetto Marvis nasce anzitutto come progetto “estetico” in generale, e cioè legato alla sensibilità, ai sensi (non all’estetismo, per intenderci, all’apparenza), e dunque la musica è solo uno di essi.

L’incontro con Francesco Enea e Sara Battiliana, da questo punto di vista è stato determinante. Abbiamo già altri progetti in cantiere molto diversi tra di loro. L’esigenza di un’etichetta (che a sua volta si lega a un’altra etichetta, Bassa Fedeltà) nasce dalla volontà di indipendenza.

Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?

(Fabio) Ho curato io tutto l’aspetto della produzione tecnica dell’album (tranne il mastering) e mi sono servito di due computer (con software professionali ma molto comuni), un vecchio Roland DJ70 (un campionatore che usavano i dj agli inizi degli anni 90…) e un paio di sintetizzatori della Korg. Poi abbiamo aggiunto un violoncello e qualche chitarra acustica.

Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?

(Fabio) Abbiamo idee diverse io e Irene a proposito e perciò nomi diversi; per dare una risposta che non sia sbilanciata posso dire che ci piacciono quelli più outsider, quelli che non fanno dischi in un certo modo perché in quel momento è di moda farli così. La cosiddetta musica indie in Italia va un po’ in questo modo creando filoni interminabili di album simili.

Ma ci sono songwriter molto bravi (tipo Iosonouncane, per dirne uno), quelli potrebbero davvero essere più indipendenti (parlo di indipendenza personale, di libertà creativa) e stupire ancora di più, creando un nuovo ordine di idee sul cantautorato.

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