Un silenzio piuttosto prolungato ha fatto da preludio a Lettere scambiate, un ep da quattro canzoni che sancisce il ritorno dei Minnie’s: in un disco dedicato a Milano (che abbiamo recensito qui) la band si è messa a nudo e ha fatto fruttare le proprie esperienze precedenti. Per ulteriori particolari, li abbiamo intervistati.
Tre anni di silenzio e ora questo ep molto “milanese”: che cosa vi ha spinto alla realizzazione di “Lettere scambiate”?
ALE: Ci ha spinto la voglia di continuare sulla strada intrapresa nella musica ormai qualche anno fa, la voglia di imbracciare ancora quelle chitarre in studio “per farci del bene trattandole male”. Anche se, in realtà, negli ultimi tre anni di palchi ne abbiamo calcati parecchi e di chilometri ne abbiamo percorsi ancora di più, spingendoci fino in Germania e Francia.
Il fatto che siano passati tre anni dalla pubblicazione dell’ultimo album (“Ortografia”) non significa certo che siamo stati in silenzio. Per fortuna, ma soprattutto per scelta, siamo sempre rimasti fuori dalle logiche di business che impongono alle band di pubblicare materiale nuovo con orologio alla mano. In questo senso di certo non mancano esempi di band vincolate a contratti discografici che scrivono musica al di sotto dell’aspettativa. Quindi perché concentrarsi per rispettare una scadenza quando in realtà nessuno ci impone un termine?
Abbiamo pubblicato musica che ci convinceva al 100%, cercando (non senza difficoltà) di ottenere prima di tutto la nostra soddisfazione, nel pensiero costante che un disco scritto con convinzione è un regalo che ci facciamo reciprocamente. Così è stato anche per “Lettere scambiate”: tanto materiale (TANTO!) confluito in quattro canzoni che in questo momento della nostra esistenza rappresentano il meglio che possiamo dare. E’ un disco “milanese”? Certamente: Milano è il meglio che possiamo raccontare, con tutto quello che abbiamo vissuto, amato e odiato. E’ la città in cui siamo cresciuti, una città fatta di lavoro, speranze e opportunità, passi il concetto che “Milano com’era” non è nostalgia del passato, ma è uno sguardo al futuro. Magari al prossimo disco. Fra meno di tre anni.
Mi sembra che i testi soprattutto spingano molto sulla dimensione dell’autobiografico: è stata una scelta oppure è stato tutto spontaneo?
LUCA: in realtà, questa volta, il processo di scrittura dei testi è stato condiviso. Molti input della storia che raccontiamo in “Lettere Scambiate” nascono da Yuri che, per primo, ha colto la possibilità di legare le canzoni una all’altra. Successivamente ho riadattato e integrato le parole per chiudere le canzoni. Le abbiamo riviste più volte insieme, con l’aiuto anche di Ale e Viole. Le abbiamo sentite nostre e poi le abbiamo lasciate andare, come è giusto che sia… Essere autobiografici è un pericolo ma anche una necessità, come una valigia pesante da portarti dietro, un peso certamente, ma dentro quella valigia ci sono tutte le cose che ti servono e a cui non puoi fare a meno!
Potete raccontare qualcosa della genesi di tutte le quattro tracce dell’ep?
LUCA: “E Ora?” Nasce da mille concerti finiti al mattino dopo in una casa, uno squat o un albergo svegliati dalla luce che entrava nella stanza, troppo presto. Quella luce è come una scossa, la stessa che muove il nostro protagonista verso la sua fuga. “Voglio Scordarmi di Me” è una dichiarazione d’intenti a noi stessi, ai nostri amori e a Milano. Forse l’amore più grande è quello che non hai bisogno di comparare a niente e a nessuno.
“Per Andare Via” è il pezzo con più anni sulle spalle, quello che suonavi in cameretta con l’acustica aspettando che fosse pronto per essere portato in sala. Come diceva Ale prima, questi pezzi sono la sintesi di oltre 20 canzoni che abbiamo scritto e selezionato dopo un weekend pazzesco di musica, risotti, vino rosso, scazzi e umidità al Bleach Studio di Maglia (chitarrista dei Manetti! e T.A.R.M). Col lago di Como sullo sfondo. “Lontano” nasce proprio da quella sensazione di comfort e fastidio, non un fastidio palpabile. L’ansietta del lunedì mattina, l’imperfezione che ti costringe a darti da fare per cercare “il bello” altrove.
Minnie’s: i fondamenti del rock
Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
ALE: I fondamenti del rock, ovviamente, non mancano e non mancheranno mai: chitarre-basso-batteria. Il tutto è stato rinvigorito e, diciamolo pure, impreziosito dalla mano esperta di Antonio “Cooper” Cupertino a cui va un abbraccione potente. Grazie ad alcune sue invenzioni con organo, hammond, organo philicorda e synth – tutti arrangiamenti sottoposti al vaglio della direzione (ridono ndr) – si è rivelato un produttore eclettico e preparato, diremmo quasi introvabile al giorno d’oggi. Molto oltre la soglia, quindi, del tecnico del suono. Ma questo lo sapevamo già da parecchio tempo. Nel suo bellissimo studio dietro l’angolo (San Pedro Studio) ci siamo sentiti a casa, il che ha contribuito a rafforzare l’amicizia. E i conseguenti litigi (ridono ancora ndr).
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?
ALE: Ci troviamo sempre più spesso a ragionare su questo argomento e, anche se la maggior parte delle volte tali ragionamenti prendono vita al bar, possiamo lucidamente affermare che i TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI sono gli artisti indipendenti che stimiamo di più. Dal punto di vista umano c’è un rapporto di amicizia che ci lega a loro, anche se noi viviamo a Milano e loro in città e realtà completamente diverse. Le nostre strade di band con alcuni di loro si incrociarono in passato: Enrico suonò il basso in “La paura fa brillanti idee” e l’amatissimo Gigi ci seguì varie volte dal mixer con le sue mani magiche.
Tornando ai TARM, consideriamo inoltre che nel mondo indipendente di pochi si può dire siano davvero indipendenti come lo sono loro. Ciò si è sicuramente riverberato in positivo sulla musica (vedi sopra): li abbiamo visti esplorare generi diversi con il coraggio di cambiare e la consapevolezza di avere radici ben piantate. I fan ringraziano con sold out a raffica. Bello.