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Si chiama Silence here il primo disco di Vincenzo di Sarno, in arte Rescue, cantautore che ha spremuto songwriting di stampo anglosassone e lo ha mescolato con sonorità indie fino a ottenere una produzione di profilo alto, con collaboratori di ottimo livello (qui la recensione). Gli abbiamo rivolto qualche domanda.

Puoi raccontare la tua storia fin qui? 

La musica (come del resto l’arte in generale) è entrata a far parte della mia vita da molto piccolo. Mi sono avvicinato allo studio del pianoforte all’età di 5 anni, per poi proseguire con la chitarra. Ricordo che già allora mi divertivo a comporre piccole cose.

Con il passare del tempo, poi, mi sono reso conto che proprio la musica costituiva per me qualcosa di più di un semplice passatempo, e con l’incontro della mia attuale etichetta “Operà Music” mi sono lasciato completamente andare.

Tra i paragoni che si fanno per identificare la tua musica si citano The National, Radiohead, Sparklehorse eccetera. Ma quali sono i tuoi ascolti, di preferenza?

Ascolto davvero di tutto; mi piace molto notare come ogni artista cerchi di dare un vestito alle proprie emozioni.

Hai alle spalle un ep e dei singoli. E’ stato più difficile passare a un lp? Quali sono state le difficoltà?

Diversamente dal’EP, il disco è nato molto velocemente. Avevo la necessità di “catturare”, in musica e parole, una serie di stati d’animo e sensazioni che avevo dentro da tempo, cercando al tempo stesso di rendere il tutto quanto più tangibile possibile. Mi sono trovato quindi una notte a scrivere il primo pezzo, e mi sono lasciato trasportare per diverse notti successive nella stesura di tutto il resto. Ho utilizzato la mia insonnia per dare un volto alle mie visioni. Le ho “affrontate”.

Come nasce “Starfield”?

Il “campo di stelle” costituisce l’insieme dei desideri e dei sogni propri di ciascun individuo. Nella vita, può capitare spesso di avere la sensazione di “calpestare” questo campo, può capitare di avere la sensazione di aver fatto delle scelte o di essere stati vittime di determinate situazioni, al punto da non aver più alcun tipo di speranza per quelle che sono le proprie aspirazioni.

Altre volte, invece, può capitare di avere la sensazione di essere guidati direttamente dalle nostre stelle, in una dimensione che risalta la nostra essenza, ciò per cui siamo venuti al mondo, senza alcun tipo di ostacolo, senza alcun tipo di impedimento. Qualunque cosa ci accada, comunque vadano le cose, non saremo mai soli in questo campo; questo “campo di stelle” ci condurrà a casa. Scrissi questo brano di getto una notte, in memoria di mio padre.

Puoi raccontare la strumentazione principale che hai utilizzato per suonare in questo disco?

Abbiamo utilizzato strumenti molto vari; dalle chitarre acustiche, a quelle elettriche, alla “pedal steel guitar”; abbiamo utilizzato anche l’ukulele. Non manca il piano, non mancano i sintetizzatori, così come i violini. Insomma, abbiamo cercato di dare spazio ai diversi colori che ogni strumento regala per sua stessa natura.

Ma ho utilizzato il plurale appositamente. Questo, perché al di là degli strumenti in sé, ho avuto la possibilità di poter collaborare, in fase di registrazione, con musicisti grandiosi: Alex Ciani, Francesco Menegat, Simon Jones, Maurizio Strappazzon, Davide Rossi.

Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimi di più in questo momento e perché?

Come ho detto prima ascolto davvero di tutto. Se dovessi fare un nome in ambito indipendente italiano farei quello di “Le luci della centrale elettrica”: è un progetto che mi affascina molto.

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