E’ un esercizio commerciale piuttosto curioso quello in cui ci si accinge a entrare con la recensione di oggi: si tratta del Bar Tritolo che Nelide Bandello ha costruito per l’occasione.

Bandello, batterista che non necessariamente suona soltanto la batteria, giunge al terzo lavoro da solista dopo una lunga militanza in svariate band alternative, jazz ma anche no.

E se il jazz può essere il punto di partenza delle composizioni di Bandello, l’approdo è spesso imprevisto e difficilmente prevedibile: proprio per evitare di “suonare troppo jazz”, il disco è stato registrato a La Sauna di Varano Borghi (VA) da Andrea Cajelli, cioè in uno studio non proprio canonico per questo tipo di sonorità.

Il risultato è, quantomeno, curioso: si parte con There Will Never Be Another Youth, che può ricordare come struttura e andamento qualcosa dei King Crimson, e che ha un passo molto mosso e movimentato.

Più calmo l’approccio di We Pod, che ha suoni un po’ più jazz anche grazie ai fiati, ma che nell’uso della chitarra invece si spinge verso idee più noise.

Growl sposta ancora il baricentro e aggredisce con modalità pienamente rock (l’introduzione può perfino ricordare qualche modalità dei Police). Poi il sax viaggia libero per i propri territori, ma il ritmo non viene mai meno.

Riscolum sembra più figlia della scena impro, complice il mood piuttosto malinconico, mentre con Go Fish It si parte da affermazioni di batteria (anzi di grancassa) che sollecitano dissonanze sparse.

Con El Toro torniamo in atmosfere crimsoniane, in uno scorrere fluido tra i binari dettati da sax e chitarra fino all’esplosione sonora di metà pezzo, che la avvicina ancora di più alle composizioni di osservanza frippiana.

Molto sorprendenti, almeno per come si sono messe le cose fin qui, i giochi elettronici (dub?) di Svegliati, cazzo!, tanto esplicita nel titolo quanto enigmatica nello svolgimento, anche se nel giro di poco si rientra in ranghi più convenzionali, almeno visto il contesto.

Licmophora si inoltra nei bassifondi sonori lasciando il sax a gettare un po’ di luce sulle sperimentazioni magmatiche di chitarra. Molto più intossicante il ritmo di Rev Donut, con la batteria impegnata in un disturbo ritmico e la chitarra a volare alto, quasi imprendibile.

La title track Bar Tritolo imposta un discorso più sottotraccia ma che si può allacciare qui e là ai suoni blues della tradizione americana, anche se le variazioni sono sempre dietro l’angolo, e di angoli ce ne sono veramente parecchi. A chiudere Plot Device con un’idea di fondo che sta a metà tra l’improvvisazione jazz e la colonna sonora di un film d’azione.

Bandello, che nel disco si è avvalso della collaborazione di Enrico Terragnoli (chitarra e podophono) e Piero Bittolo Bon (sax alto, baritono e clarino), con l’aggiunta del basso di Stefano Senni su “Plot Device”, sembra voler rispettare qualche crisma della forma canzone, per esempio la durata (soltanto in due pezzi si superano i sei minuti complessivi).

Ma è proprio l’atteggiamento a lasciare sorpreso chi si aspettava un disco jazz: la voglia di accelerare, di risultare aggressivi, di sporcarsi le mani e di non risultare mai troppo eterei sono da sottolineare per un discorso che in qualche punto è più vicino al rock che al jazz e che comunque produce un disco mai banale e mai noioso.