Forti di un nome curioso, i 23 and Beyond the Infinity, band di Benevento, realizzano un esordio su lp di ottimo interesse, Faces from the Ancient Gallery.
La band campana suona un rock psichedelico che si rifà piuttosto chiaramente a radici lontane, senza però essere chiuso a influenze contemporanee.
Si parte con una certa crudeltà sugli animali (immaginari): Dumbo gets drunk ci porta fin da subito in un universo dai parametri non ortodossi, quello della psichedelia, veloce e piuttosto estrema.
Al contrario di altre band propense a “lasciarsi andare”, i 23 and Beyond Infinity contengono infatti le proprie cavalcate all’interno dei margini temporali canonici della forma canzone classica: è il caso anche di Days of Dirty Mirrors, che ha un passo piuttosto epico e molto Seventies, ma sta sotto i tre minuti.
Derive articolate e molto vibranti anche in Nobody’s in the River, mentre l’umore si acquieta in parte con It isn’t over, che almeno nell’introduzione mette in maggiore rilievo le percussioni.
Dancing the Light ha un atteggiamento piuttosto aggressivo, con sonorità acide sparse e un ritmo incalzante e insistente. Talkin’ With è meno regolare, riverbera echi di new wave ma corre sul filo elettrico dall’inizio alla fine.
Ariel and the rejected angels racconta una storia piuttosto ruomorosa, con propaggini psichedeliche. Più tranquilla l’aria all’interno di Child Sad Eyes, che però registra una progressione che cambia più volte atmosfera.
La chiusura del disco è affidata a Sons of Cornucopia, che suona più vintage di altre tracce, richiama apertamente i Velvet Underground come numi tutelari, orchestra una cerimonia antica e la celebra fino in fondo.
Il disco piace perché riesce a presentare sfaccettature differenti e perché accoglie le influenze del passato senza fare fotocopie, anzi considerando la psichedelia come un genere del tutto vivo e in grado di regalare ancora molto.
