La band LeCeneri nasce a Teramo nel settembre 2015. Dopo alcune esperienze attraverso concorsi e manifestazioni varie, nonché performance dal vivo, che fanno da preludio a al debutto con Backup_Ripristino, masterizzato da Pete Maher (U2, Jack White, Jimmy Page). Se li vuoi ascoltare, puoi cliccare qui sopra e sentirli in streaming, se vuoi leggere la recensione, vai a fondo pagina. Se invece vuoi leggere quello che hanno risposto alle nostre domande, prosegui pure.
Potete riassumere la vostra storia fin qui e spiegare il nome della band?
LECENERI hanno origine tra i banchi del liceo scientifico di Teramo, dove io (Francesco Sbraccia, chitarrista) ho conosciuto quello che sarebbe diventato il nostro frontman, Lorenzo Dipas. LECENERI sono nate dopo che ho suonato il riff di Smoke on the water sulla chitarra di suo padre attaccata a un overdrive: il risultato fu discutibile, ma capimmo che a entrambi piacevano le distorsioni senza dire una parola.
Fondammo una band e la chiamammo Stereowave, che è stato il nostro nome fino alla pubblicazione del disco d’esordio, Backup_ripristino; proprio poche settimane fa, però, abbiamo dovuto cambiare nome a causa dell’omonimia con un gruppo statunitense che ha registrato il marchio “Stereowave”. Ora siamo “le ceneri” di quel progetto, e a dispetto del nome abbiamo linfa vitale che scorre nei nostri jack.
Come siete arrivati a questo debutto? Potete raccontare qualcosa delle lavorazioni del disco?
Backup_ripristino è nato da un brusco cambio di direzione. Il nostro passato musicale è intriso di rock classico, legato ai Queen del periodo prog istrionico, e il nostro primo ep DejaVu è cantato in inglese. Con Backup_ripristino abbiamo scelto l’italiano per andare incontro a una stesura dei testi che non subisse mediazioni, grazie all’uso di una lingua madre esente dal processo di traduzione.
Dei testi si occupa principalmente Dipas, ma scrivere canzoni in italiano era una necessità che avvertivamo tutti e quattro. Musicalmente, invece, eravamo tutti molto attratti dai sintetizzatori e dall’elettronica, il che ha portato le tastiere a diventare una caratteristica irrinunciabile del sound dell’album. Tra la composizione e la registrazione, abbiamo lottato due anni con le nostre canzoni per arrivare a questo disco pienamente soddisfatti del risultato.
Quali sono state le difficoltà maggiori che avete incontrato nel realizzare il disco?
In fase di scrittura ci siamo scontrati con le difficoltà logistiche dovute al fatto che viviamo in città diverse. Per questo, la composizione dei brani è avvenuta sfruttando i computer e la possibilità di registrare demo indicative dei brani in perfetta autonomia al posto delle jam vecchio stile, che sono state ridotte all’osso e riservate alla cura dei dettagli. Siamo stati ossessionati dai dettagli fino all’ultimo giorno in studio, e dobbiamo ringraziare il nostro fonico Davide Grotta per la sua provvidenziale creatività nei momenti in cui i piccoli particolari diventavano più grandi della nostra capacità di gestirli. Da questo abbiamo imparato a porci dei limiti nella ricerca della “perfezione” compositiva e i nostri nuovi brani vanno in questa direzione.
Come nasce “Equilibrio instabile”, che è stato anche il vostro primo singolo?
Equilibrio instabile è stato scritto principalmente dal Dipas. È un grido di denuncia nei confronti di un contesto sociale che impedisce ai giovani di diventare “adulti” nel senso tradizionale del termine, ovvero di raggiungere una sufficiente stabilità economica, geografica e psicologica che consenta di farsi carico di certe responsabilità. La continua provvisorietà ci sembra la caratteristica del nuovo adulto: sta a noi far giocare questo apparente disagio a nostro favore. Siamo comunque certi che noi quattro saremo sempre abbastanza sciocchi da non correre il rischio di sentirci adulti!
Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
È la mia domanda preferita. Il nucleo principale del nostro sound è la solita strumentazione rock: voce, chitarra, basso (suonato da Lorenzo Marcozzi) e batteria (dietro cui siete Davide Cervella). Come ho già detto le tastiere giocano un ruolo fondamentale nel disco, e ce ne siamo occupati io e Dipas. Personalmente mi sono innamorato del mellotron e ho finito per metterlo quasi ovunque: nel nostro secondo singolo “Dimmi che fare” (andato su RockTV a dicembre) l’ho addirittura usato in un contrappunto a tre voci.
E questo mi porta a parlare di un’altra fondamentale parte della strumentazione che abbiamo sfruttato! Io sono un musicista di educazione classica: sono diplomato in pianoforte e sto studiando composizione, il che ci ha portato a inserire nei nostri brani degli arrangiamenti di matrice classica, in particolare con gli archi, suonati da Paolo Capanna. Ogni tanto fa capolino il theremin, domato dalle mani sapienti del nostro fonico. Dipas ha giocato molto con i filtri e le distorsioni vocali. Per la sezione ritmica, Davide e Lorenzo hanno creato un muro di suono fatto di bassi distorti e contaminato da batterie elettroniche…insomma, c’è davvero tanto in questo album!
Potete descrivere i vostri concerti?
I nostri concerti sono molto curati nei suoni e nella scenografia. Ricreiamo l’atmosfera del disco a partire da un collegamento visivo: il magenta, colore principale del design di Backup_ripristino (creato dall’artista Alessandro Di Massimo), è riportato anche in scena con luci e candele. Vi sfido poi a contenere il Dipas on stage!
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?
C’è una band che è stata di particolare impatto su tutti noi, e si tratta dei Blastema. I loro brani sono travolgenti e consentono una continua scoperta di squisite finezze sia testuali che musicali. Siamo legati in particolare agli ultimi due album, “Lo stato in cui sono stato” e “Tutto finirà bene”. Quando puoi ascoltare un disco senza stancarti per settimane, mesi e anche anni vuol dire che c’è qualcosa che va oltre la semplice bellezza di testi, melodia e armonia, qualcosa che risuona con le tue corde in maniera irresistibile.
Non di rado è difficile capire di cosa si tratta, e la sua ricerca ti porta a scoprire nuovi lati di te stesso. Poi dal vivo i Blastema sono un concentrato di energia senza pari. Ci piacerebbe moltissimo dividere il palco con loro un giorno. Un altro artista che ha attirato la nostra attenzione è Motta: la sua musica è un mantra ostinato, quasi catartica. La vittoria del premio Tenco per la miglior opera prima è molto significativa.
Potete indicare tre brani, italiani o stranieri, che vi hanno influenzato particolarmente?
Blackbird – Alter Bridge Kashmir – Led Zeppelin Grace – Jeff Buckley
LeCeneri traccia per traccia
La partenza di Adesso o mai più, la prima traccia del disco, è elettronica e ambigua: sembra portare in territori tipo Depeche Mode. Ma è soltanto una sensazione passeggera: presto la canzone alza il volume e si fa aggressiva, pur senza rinunciare a qualche effetto elettronico. Il totem della band pare essere il rock italiano anni Novanta, versante Timoria in particolare: lo conferma anche Equilibrio instabile, il secondo pezzo del disco.
Insospettabile dolcezza per il brano seguente, tra l’altro intitolato Sodoma, che fa uso di archi, di cori e di melodia a profusione, giusto con qualche correzione elettrica nel finale. Si torna su di giri con Estensione, aggressiva senza essere distruttiva, con qualche libertà strumentale nella seconda parte.
Flussi elettrici ma anche atmosfere oscure e voci filtrate caratterizzano Solo la notte. Drumming e deviazioni elettroniche si mostrano nel ritmo medio di Ti Vedo, mentre Giù fa emergere qualche altra influenza più rock-pop (Negramaro, Muse).
Ci si spinge oltre, a livello ritmico soprattutto, con Dimmi che fare, intensa e ricca d’energia, con chitarra finale a impazzare. Dove sparerà il cannone aggiunge altra carica, in un pezzo ricco di situazioni belliche e di influenze tra lo psych e il prog. Abbassi la testa rilancia in termini di elettricità, con qualche cesello di tastiere. Si chiude con Ti porterò con me, che sviluppa ulteriormente la vena melodica (presente, anche se sotterranea, in tutto l’lp).
Al netto di qualche spunto più pop, il disco de LeCeneri sviluppa un discorso molto organico e articolato. Il disco sceglie le sonorità giuste e varia il panorama abbastanza da risultare interessante in tutte le tracce.
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