L’intervista: Gianni Banni, niente di lineare
Dietro il curioso nome di Gianni Banni si cela l’identità di Enrico Iannaccone, giovane regista campano che ha già all’attivo un David di Donatello per il miglior cortometraggio del 2013, il crudo e molto vivo “L’esecuzione”.
Ma si cela soprattutto l’autore della musica di Danza globulare, un disco di elettronica magmatica e ribollente. Gli abbiamo posto qualche domanda.
La musica non è la tua unica passione. Puoi raccontarmi qualcosa della tua storia?
Naturalmente, e mi scuso per l’assenza di originalità, tutto risale alla più tenera età. Nell’inevitabile noia dell’infanzia, il cinema e la musica rappresentavano delle vere e proprie oasi. Guardare i film e fantasticare sui registi significava immergersi in un mondo felice, adulto e libero; guardare i video su Mtv e ascoltare le musicassette (al 99,9% false, lo ammetto) serviva a coltivare un certo ritmo di cui necessitavo.
Percuotere le cose ha smesso di manifestare una malcelata isteria infantile quando mi fu regalata una piccola batteria per bambini. Il suo destino fu, ahimé, breve: qualche settimana e la sfondai. Evidentemente i costruttori di strumenti giocattolo prevedono esecuzioni ad libitum di Fra’ Martino Campanaro, escludendo da subito l’ipotesi del black metal.
I tuoi film parlano di realtà durissime e spesso tragiche e sono profondamente calati nella realtà sociale. Come mai hai scelto un genere musicale invece apparentemente molto astratto come l’elettronica?
Con il lavoro cinematografico tento di trasformare in storie e immagini determinate realtà profonde o nascoste: da quelle sociali a quelle prettamente emotive e interiori. Con la musica è sostanzialmente lo stesso, in quanto il tentativo è quello di fermare su pentagramma il flusso di note che ruotano nella testa e nei muscoli senza alcuna direzione.
Nel presentarmi la tua musica hai parlato di un lo-fi “Playmobil”… Puoi spiegare meglio, almeno per le nuove generazioni che giocano solo con XBox e PS4?
Definisco il suono del disco alquanto “Playmobil” perché profondamente plasticoso, oltre che (spero) evidentemente divertito. Se dovessi tradurre in immagini il contenuto di “Danza Globulare”, vedrei una pioggia di caramelle colorate cadere a picco in una piscina straripante di carne di maiale cruda con i personaggi Playmobil impegnati a bere cocktails a bordo vasca.
Trovo che in tutti i brani di “Danza globulare” ci sia una forte tematica di contrasto, spesso anche fra accenni di melodia tradizionale di pianoforte e dissonanze elettriche ed elettroniche. Perché questa giustapposizione costante?
Se riascolto quello che compongo non posso non notare una cosa: c’è come una sorta di vergogna nel mantenere un unico registro. Questo perché, probabilmente, cerco di essere il più sincero possibile con me stesso e con chi eventualmente ascolta i miei brani o vede i miei film.
In questo discorso il “credere” c’entra poco, si tratta piuttosto di sentire. Nella mera vita quotidiana non sento e non provo alcun tipo di linearità, quindi si tratta forse, e ancora una volta, di un più o meno riuscito tentativo di riproduzione del mio reale.
Mi incuriosisce molto il titolo di “Boris Karloff e le donne”: da dove nascono titolo e pezzo?
“Boris Karloff e le donne” fu realizzato in un periodo piuttosto romantico, nel senso Sturm und Drang del termine. Il disincanto toccava le più vertiginose vette e l’immedesimazione con il personaggio di Frankenstein era tale da riscontrarsi persino a livello fisiognomico.
Poi giunse una riflessione: l’immagine filmica del mostro è in realtà un trucco, sotto il quale si nasconde un grande attore. Sulla vita sessuale di Boris Karloff nessuno ha mai scritto nulla (perché avrebbe dovuto, del resto?), perciò mi sono ritrovato a scrivermela da solo. Alle donne piace Boris Karloff? E il fatto di averlo visto nei panni di Frankenstein è un valore aggiunto? Non lo so. Quel che conta e che più mi rallegra è che il pezzo, oggi, mi fa sinceramente ridere.
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