Nuova formazione e nuovo disco per gli Obake, che dopo aver fatto alzare parecchie antenne in ambiente metal e generi consimili nel 2011 con l’album d’esordio, fanno ritorno con Mutations (qui la nostra recensione). Ed ecco la nostra intervista alla band.

Che cos’è successo dall’uscita del vostro esordio a oggi?

Dopo l’uscita dell’esordio e il tour con Trevor Dunn abbiamo subito programmato una nuova session di studio per lavorare a nuovo materiale.

Così ci siamo ritrovati a Budapest qualche mese dopo, ancora carichi per la grande energia prodotta dal primo disco ma con la decisa volontà di rendere il suono di Obake ancora più incisivo e definito.

E nel produrre il secondo disco abbiamo sentito la necessità di consolidare ulteriormente la lineup con l’entrata di Colin al basso. Nel mentre abbiamo singolarmente fatto tutti uscire diversi altri dischi.

La vostra formazione è diventata ancora più internazionale. Quanto ha influito il cambio di formazione nel nuovo disco e che cosa ha portato Colin Edwin?

Oltre a essere un bassista spaventoso, è la persona di Colin a fare la differenza, ha veramente portato una fresca ventata di entusiasmo e di ottime idee.

Musicalmente ci interessava un basso in grado di scavare ancora più a fondo rispetto al primo disco e soprattutto rispetto a quanto prodotto dalla chitarra baritona di Eraldo. Colin porta dritto al centro della terra in questo senso…

Come nasce la scelta di inserire un brano come Burnt Down, che ha caratteristiche molto differenti rispetto al resto del disco?

Burnt Down è un brano al quale siamo tutti molto legati. Non credo Obake possa essere definitvo un gruppo esclusivamente metal, o almeno per noi non è così. Qui confluiscono semplicemente le nostre visioni più cupe e il risultato musicale è prevalentemente un blend fra scariche di energia e dilatazioni oniriche.

Mi sembra che “M” sia uno dei brani maggiormente significativi del disco, quasi una suite in miniatura. Come nasce?

Tutti i nostri brani nascono da una prima session di improvvisazione, qualcosa di molto istintivo, musica suonata di stomaco, per poi trovare solo successivamente, in fase di produzione, una strutturazione più razionale.

Ogni brano si evolve in modo singolare, senza schemi prestabiliti, fedele soltanto alla visione da cui è scaturito. Lo stesso vale dunque per “M”. E in tal senso capisco cosa intendi con “suite in miniatura”…

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