E’ uscito pochi giorni fa Stupido Sexy Futuro, il nuovo (e ottimo) disco de Lo Stato Sociale. Dopo anni di girovagare, artistico e non, i cinque si sono rimessi a pensare in formato disco e lo hanno fatto con un bel nucleo di canzoni e qualche collaborazione significativa.

Questa conferenza stampa avrebbe dovuto prendere forma prima dell’uscita ufficiale del disco, ma all’ultimo la band ha deciso di andare a consegnare tipo Deliveroo l’album porta a porta a un certo numero di fan a Milano, perciò ecco qui ora Lodo, Albi e Checco, a rispondere alle nostre domande su Zoom. Ne è uscito, proprio come sui loro dischi, un mix notevole di ironia, intelligenza e lucidità di analisi, con qualche filo in più di disillusione rispetto al passato.

Partiamo dal titolo del disco: si chiama Stupido Sexy Futuro ma parla molto anche di passato. Che tipo di concetto c’è alla base della scelta?

Albi: Il titolo viene da una citazione dei Simpson: Homer dice “Stupido sexy Flanders” e poi crolla dagli sci mentre compie una discesa. E in realtà ci è venuto in mente che il futuro potrebbe essere un Ned Flanders vestito molto attillato. Una cosa molto stupida ma molto sexy. Ti attrae ma ti deluderà profondamente.

In realtà non parla molto di passato il disco, parla alle nostre origini, c’è un po’ di storia di quello che ci è successo, però non è una cosa ancorata al passato. E’ un cercare di avere un po’ di consapevolezza verso il futuro. E sappiamo che sarà deludente. Non soltanto il nostro ma in generale.

Lodo: Alberto vive nel terrore di essere nostalgico. E’ terrorizzato dalla possibilità di essere nostalgico.

Checco: Siamo anti-nostalgici.

Lodo: Io credo di essere un nostalgico. Potete cacciarmi se volete. Però dovete accettare questo aspetto della mia personalità.

Checco: Le faremo sapere.

Lodo: Grazie.

Per il lancio del disco vi siete improvvisati rider. Questa decisione è un’idea soltanto carina, o è per parlare di precariato?

Albi: Be’ sarebbe bello rispondere che era un’idea carina e basta ma purtroppo non è così. C’era un concetto dietro che era quello di mettere insieme l’idea di piattaforma delle consegne e di piattaforme di streaming e trovare un minimo comun denominatore tra i vari mestieri e lavori che vivono uno sfruttamento.

Il messaggio che volevamo mandare è che tutti i mestieri vivono uno sfruttamento, perché tutti veniamo sussunti e il nostro valore è sfruttato da qualcuno che ne guadagna e qualcuno che guadagna più rispetto ai poveri rider e ai poveri stronzi (come noi, ndr).

Semplicemente dietro a un clic dello streaming, così come dietro a un clic delle consegne, esiste molto lavoro e molto sfruttamento. Nascosto da un gesto molto semplice come quello di cliccare su un telefono.

Lodo: Quindi la nostra proposta è molto semplice: bottoni molto duri, durissimi, in modo che ci voglia molto lavoro anche per fare quel clic. Però vorrei dire una cosa forse antipatica: noi non possiamo dirci fondamentali. E’ un altro sport quello di fare le canzoni, i dischi, i film eccetera.

Paradossalmente è lo stesso sistema che moralizza quello che lavora per vivere perché non si fa sottopagare abbastanza che mette in campo questo parallelismo stranissimo tra la dignità del lavoro per vivere e chi coltiva una sua ambizione.

Noi decidiamo di essere dentro un sistema di mercato per fare le canzoni, non per fare dei beni di prima necessità? Eh noi dobbiamo capire che forse noi mettiamo le canzoni sulle piattaforme perché qualcuno le ascolti per resistere, e poca roba di più. E se non abbiamo qualcuno che ci viene a sentire dal vivo forse non esistiamo veramente, come un sacco di gente che esiste su internet e non dal vivo.

Tu non puoi pretendere di entrare nella logica del mercato più spregiudicato, che sono le piattaforme, ma di essere tutelato come se fossi un lavoratore pubblico, tra l’altro in uno scenario in cui, cosa molto più grave, il lavoro pubblico non è tutelato, perché è precarizzato, gli stipendi minimi sono sempre più bassi, la sperequazione economica tra le classi sociali è sempre più alta.

Quindi direi occhio a noi minoranza borghese che campiamo di canzoni e accampiamo tantissimi diritti mancati. Noi guadagniamo dal mercato da un lato quando ci serve e chiediamo delle garanzie economiche quando ci fa comodo. Scusate.

Lo Stato Sociale vs. l’attivismo social

Nel disco c’è un certo spirito critico nei confronti dell’attivismo social

Checco: Io credo che i temi siano due: trasformare quello che succede sui social nella realtà. E rendere vendibili delle battaglie che non necessitano di marketing. O meglio, il marketing e la vendibilità di queste cause andrebbe a delegittimare il senso di quello che si sta facendo.

E’ vero che ultimamente, se posso parlare per esperienza, ci sono delle tematiche che accadono sui social e raramente poi agiscono sulla realtà. Quando si fa qualcosa è sempre un “più”, ma non ci si deve fermare solo lì. C’è una realtà virtuale che gode anche di una smaterializzazione dei problemi, ma va riportata laddove i problemi esistono davvero.

Lodo: Per me se uno dice qualcosa che ha una buona incidenza sulla realtà e sulle discriminazioni di cui è composta e ci guadagna non c’è nessun problema. Non sono un moralista. Il problema è un altro: questo tipo di attivismo si muove in uno scenario liberale. Si concentra sulla narrazione e non sul mutamento dei rapporti di forza, che sono i rapporti economici che regolano la società.

E questo mutamento, che in Italia è avvenuto dopo il 2000 e che in America è iniziato negli anni Settanta, aumenta le discriminazioni nei suoi risultati. Per quanto io possa credere alla buona fede del singolo attivista, si tende a raccontare soltanto le discriminazioni all’interno degli scenari più ricchi della società.

Provo a fare un esempio: è chiaro che il razzismo è una cosa molto brutta. Ed è chiaro che se uno dice una brutta cosa a una persona nera in quanto nera io non stimo questo suo gesto. Ma è anche chiaro che se tu sei un operaio sfruttato e sottopagato di una qualsiasi provincia italiana, e non hai nessuna visione di riscatto collettivo, e ti spostano l’azienda in Polonia dove possono schiavizzare le persone tre volte più di te. E non hai più la sanità pubblica, e se devi fare una Tac devi aspettare un anno. E non hai più l’istruzione pubblica e non sai come mandare a scuola i figli.

E non hai praticamente nulla di quello che avevi prima, e sei cresciuto in una condizione di ignoranza, perché hai lavorato mentre una minoranza colta e privilegiata di questo Paese poteva studiare. E sei messo in diretta concorrenza con l’immigrato che è più schiavizzato di te, e quindi è l’unico che puoi odiare perché non hai una visione di riscatto collettivo, all’interno di questo scenario si consuma un conflitto sociale che ha anche in sé del razzismo.

L’attivismo di cui ci occupiamo oggi non si pone il problema di rendere gli immigrati meno schiavi, né di alzare il salario minimo. Si pone il problema di educare una fascia più povera della popolazione che vive rapporti più violenti, insegnando loro a non parlare male. Come se noi parlassimo con loro. Ovviamente loro non ci ascoltano, noi ci isoliamo, parliamo fra di noi, e loro votano i fascisti. E questo più o meno è il disegno che succede.

Questo è per dire che tutti noi non crediamo in nessuna forma di attivismo all’interno del sistema liberale, tutelando i rapporti di forza economici. L’attivismo ha a che fare con una lettura di classe della società. E all’interno della lettura di classe esistono le altre letture: noi viviamo in un Paese in cui muoiono costantemente gli immigrati in mare, c’è la Bossi-Fini da 25 anni, sono schiavizzati i braccianti nella metà di questo Paese per un euro e mezzo a settimana e ci concentriamo su Fausto Leali che dice “negro” al fratello di Balotelli.

Un settantenne che ha fatto un pezzo che si chiama Angeli negri, che era il più famoso pezzo della sua epoca. Questo è il senso della nostra critica a quell’attivismo: la sua non incidenza sulla realtà e anzi il suo fare un favore a che i rapporti di forza rimangano gli stessi, e che infine le persone fuori dalla minoranza borghese non possano che votare a destra.

Checco: Non so se l’hai detta semplice, ma era completa.

Lodo: Scusate.

Nostalgia, generazioni, pubblico e amicizia

Com’è nata la collaborazione con Naska, che è di una generazione diversa?

Lodo: Ci siamo scritti, perché io mi emoziono con questi sbarbi che suonano le chitarre e avevo paura che sarebbero scomparsi per sempre. E ho una certa empatia per quel giro lì perché non si arrabattano a cercare di fare degli streaming ma provano a cercare di portare le persone ai concerti. Trovo che sia molto vitale quell’ambiente. Che facciano il pezzo della vita o un pezzo che non mi piace non mi cambia nulla, mi piace l’energia che hanno. Quello che non capisco, non lo capisco perché sono un vecchio di merda. E quello che capisco, capisco che mi piace.

Albi: E nel lavorarci insieme, ci siamo stati in studio una settimana e mezza, devo dire che ho riconosciuto la stessa botta che avevo io dieci anni fa, e la vicinanza e l’empatia si sono manifestate nel non capire un cazzo di quell’età e nel non capire un cazzo neanche adesso. Siamo molto più vicini di quello che sembra.

Quando sono nate le canzoni del disco?

Albi: E’ un insieme di canzoni non vecchie ma neanche nuovissime (segue dibattito se il più vecchio ha 4 o 5 anni, ndr), ci siamo trovati con materiale per fare due dischi, venti-venticinque canzoni. Abbiamo fatto una scelta per raccontare il nostro stato dell’arte attuale e abbiamo scelto le canzoni che dicevano quello che stiamo dicendo in questo momento.

Non ci sono grandi singoli, non ci sono canzoni ambiziose dal punto di vista mainstream ma ci sono canzoni che ci rappresentano in questo momento. Volevamo fare un lavoro più di narrazione su quello che siamo adesso e andare a recuperare anche le nostre fortune degli esordi, dicendo delle cose dritte in faccia e senza guardare tanto alla forma e al mercato degli streaming e/o radiofonico.

E quindi abbiamo messo insieme queste canzoni sperando che il nostro futuro sia fatto delle cose che sappiamo fare meglio che, tendenzialmente sono le cose che sono dentro questo disco. Perché le cose di successo sappiamo farle ma le facciamo per caso: Una vita in vacanza e Sanremo sono una cosa successa con una certa incidentalità nella nostra vita.

Lodo: Comunque nel dubbio tutti i pezzi più pop li abbiamo tolti dal disco perché non c’entravano molto. Quindi non solo non ci interessa se possiamo dominare quel campionato oppure no, ma se qualcuno fosse interessato a rischiarla e rischiare di avere un successo clamoroso ed epocale, può chiamarci: noi gliele vendiamo. Abbiamo un po’ di hit da parte, ci mettiamo d’accordo. Ci basta una cena di pesce e un pacchetto di Fonzie.

Quindi pensate di rivolgervi un po’ ai nostalgici?

Checco: La risposta giusta è: al vecchio pubblico delle nuove generazioni.

Lodo: In realtà non mi sono mai sentito così giovane in questi tre anni come oggi che mi date tutti del vecchio. Quello che succede è che quelli che dieci anni fa erano in prima fila sono in fondo col cappotto, la birra (non il gin tonic) e la baby sitter a casa. E di fronte ci sono i ventenni che urlano delle canzoni di dieci anni fa che sono uscite quando loro avevano dieci anni e noi non sappiamo come siano arrivate a loro quelle canzoni.

E per una banale questione ormonale un concerto del genere, cioè un concerto che è una festa tipo il nostro, è la festa di gente di vent’anni. E quelle canzoni diventano d’improvviso loro, anche se noi le avevamo scritte per noi e per la nostra generazione e per quelli in fondo con il cappotto e la birra.

Albi: Quindi alla fine è per nostalgici dell’ultima fila e per i futuri nostalgici delle prime file.

Come nasce Tutti i miei amici?

Albi: E’ una storia un po’ elaborata perché all’inizio l’ho scritto io con delle strofe diverse e aveva un significato simile ma non così preciso. Poi le strofe sono state riscritte quattro o cinque volte finché Lodo a un certo punto si è svegliato, una mattina di dicembre e ha detto: “Ce l’ho, ce l’ho”.

E dopo le strofe hanno assunto quel significato lì e il pezzo ha raggiunto il livello minimo e indispensabile per essere dentro questo disco. Questa gestazione, che è molto simile a quella di tanti pezzi dello Stato Sociale, è arrivato a quel punto ed eravamo molto molto soddisfatti di quel brano. E suonarlo in anteprima di fronte a persone che non l’avevano mai sentito ci ha dato la consapevolezza che poteva diventare un pezzo importante.

Parla delle persone con cui abbiamo condiviso un certo tipo di percorso e un certo tipo di disperazione nello scrivere canzoni. Fare quel tipo di lavoro in cui metti in gioco cose che pensi sperando che abbiano un effetto sulle persone che ascoltano e del rumore che crea questa aspettativa dentro di te, nella disperazione che ti crea non sapere se quella cosa effettivamente funzionerà e ha senso anche per gli altri. Quindi è un pezzo che in realtà parla di solitudine.

Lodo: E’ vero. Io stavo girando il film di Pupi (La quattordicesima domenica del tempo ordinario, ndr) che è nelle sale adesso e stavo interpretando uno che prova a suonare per tutta la vita, non ce la fa mai e si rovina. E pensavo tutti i giorni a tutti i miei amici. Pensavo a quelli che ce l’hanno fatta, a quelli che ce l’hanno fatta a dismisura diventando famosissimi, a quelli a cui non era andato bene niente ed erano andati a lavorare, a quelli che si erano drogati, a quelli che c’erano rimasti sotto con l’alcol, a quelli che avevano cambiato seicento volte genere di riferimento per vedere se succedeva qualcosa, a quelli che si sono messi a lavorare nella musica ma volevano fare gli artisti eccetera.

Mi sembrava molto chiaro che quel personaggio fosse una lettera d’amore per loro, per i miei amici. C’era questo pezzo di Albi che era molto più generazionale nella sua scrittura, era molto più aperto e meno intimo. E forse nella mia idea faceva un po’ più scopa con alcune cose che erano già dette nel disco. E quindi niente, mi sono messo lì, ho provato a metterci dentro questa cosa qua, che stavo recitando, una lettera d’amore per i miei amici che hanno provato questa cosa strana, ostinata che è provare a vivere di musica e seguire questa idea mitomane di lasciare un segno dentro le persone. Quando in realtà gli altri pensano a te molto meno di quanto tu pensi a loro!

“L’adulto ha uno stipendio, al ragazzo gli girano i maroni”

C’è spazio anche per una giusta osservazione di Lodo sulla musica in uscita in eccesso, con solidarietà per chi è “obbligato” ad ascoltare le centinaia di singoli in uscita di continuo. “C’è quasi imbarazzo a pubblicare un disco nuovo in queste condizioni”. Poi chiudiamo con un paio di domande.

Quando ho ascoltato per la prima volta Fottuti per sempre ho pensato (e scritto): “Questo è il funerale dell’indie”. Poi ascoltando di nuovo e meglio ho colto che ci sono altri livelli di significato. Vorrei sapere come e da che cosa nasce il pezzo.

Lodo: Come spesso accade è un pezzo che si presta a una sovrapposizione strana. Una cosa è di che cosa vuoi parlare e una cosa è che parole usi per parlarne. E io tendenzialmente credo che le parole migliori per parlare di ciò a cui tieni siano le più oneste possibili. E le più oneste possibili sono quelle che conosci meglio. E quelle che conosci meglio sono quelle che riguardano la tua storia.

Tutta la parte che ha a che fare con la nostra storia è molto presente, è molto sputtanata, è molto spudorata, ma è anche un pretesto per parlare di una cosa che è l’ingresso nell’età adulta. Che per la nostra generazione significa compiutamente l’ingresso nel mercato.

Non conosco la vostra vita ma posso immaginare che tutti voi che scrivete di musica abbiate passato una fase, magari nei vent’anni, in cui eravate convinti che dovevate scrivere per cambiare il mondo, per rendere il mondo un posto migliore, per migliorare la vita di tutti quanti.

Poi a un certo punto, lottando per questa cosa abbiate incontrato delle difficoltà, poi abbiate trovato una testata che fa delle cose che comunque a voi appassionano e interessano…

O l’abbiamo aperta…

Lodo: O l’avete aperta. E c’è stata un’altra fase di entusiasmo, in cui non c’era più il sogno in quanto tale ma il sogno di avere uno stipendio per continuare a sognare. E sopravvivere dentro questo meccanismo, e poi piano piano la coscienza che, all’interno del sistema di mercato, lo stipendio in molti giorni è l’unica cosa buona di tutto quello spazio che vi siete guadagnati. E però comunque va bene così. Si cresce, si è adulti, non si è più sognatori, si è adulti.

Però da qualche parte quel ragazzo sbatte i piedi. L’adulto ha uno stipendio, al ragazzo gli girano i maroni. Questa cosa credo abbia a che fare con la vita di chi scrive di musica, di chi scrive canzoni, di chi fa il professore universitario, di chi lo fa al liceo. Di chi diventa grande.

Era il tema della canzone: io l’ho raccontata parlando della parabola nostra perché erano le parole più vere che avessi a disposizione. Però parla di una cosa che secondo me avete presente anche voi.

Avete in programma qualcosa in favore della Romagna disastrata?

Albi: E’ un discorso che stiamo affrontando perché comunque siamo in cinque e bisogna prima coordinarsi, prima di buttare le cose.

Checco: Abbiamo sentito un po’ di sindaci della zona.

Albi: Abbiamo pensato che la cosa migliore da fare fosse innanzitutto diffondere i vari canali di beneficienza istituzionale che sono stati attivati. Poi abbiamo sentito le persone che conosciamo nelle varie zone, sia gli artisti amici sia i sindaci, dove potevamo arrivare in modo abbastanza rapido senza troppi giri, quindi i sindaci di Cesena e Imola, per capire come renderci utili.

In questo momento c’è bisogno di tanta solidarietà, quindi noi ci siamo messi a disposizione per qualsiasi richiesta che ci arrivi.

Lodo: Noi tendenzialmente se possiamo ci siamo. Se qualcuno ha piacere che ci siamo siamo disponibili. Se qualcuno non ha piacere non ci offendiamo. L’emergenza è tale e di tale portata che sicuramente non ci mettiamo a discutere di questioni secondarie. Come possiamo aiutare aiutiamo.

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