Luca Spaggiari, “Eravamo Occidente”: la recensione

Luca SpaggiariLuca Spaggiari, artista multifronte, anima dei Fargas e di Private Stanze, pubblica un album curioso, Eravamo Occidente. Così raccontato dal comunicato stampa:

Nell’inverno del 2010, durante una lunga nevicata, Luca rimase bloccato per quattro giorni nella sua casa studio, allora un’acerba Private Stanze. Un sogno prese vita in otto composizioni scritte e incise da lui solo in quei pochi giorni di tempesta. Un’immagine di un futuro prossimo dove un uomo si risveglia dopo un lungo sonno, forse un trauma, e inizia a ordinare i frammenti della sua memoria tra amore, macerie e ricostruzione.

I brani di questo personale “Nebraska” (o “Basement Tapes”) sono qui presentati in forma originale, nella stesura primitiva, senza tagli o sovraincisioni successive, con la prima voce ancora in fase embrionale. Lo stesso inverno “Eravamo Occidente” fu fatto ascoltare a John Cale che lo battezzò come uno dei migliori album di pop sperimentale del nuovo millennio.

Luca Spaggiari traccia per traccia

Gennaio è il primo brano del disco, annunciato da parole sussurrate, un battito minimale, pochi accordi, a loop, di tastiere. I passi del brano sono regolari, anche se la chitarra elettrica entra come una lama di taglio, a spaccare in due la calma apparente del brano. Triste e lenta Cattedrale, titolo carveriano per un brano voce e chitarra e poco più, se si esclude la rabbia che emerge nel percorso.

Maggiormente articolata Eravamo Occidente, la title track che si fa bella di suoni sintetici in un’introduzione molto lunga. Quando la voce arriva, parla di situazioni decadenti, di paure e di fughe. Autunno si adagia su atmosfere notturne, in dimensioni non aliene all’ambient e alla drone music, ma con assolo sghembo di organo finale.

Spesso succede che, quando abbassa i toni dal punto di vista sonoro, Spaggiari alza l’aggressività a livello testuale: succede anche con Processione, acustica e acuminata. Piuttosto allungata e dolente La sposa, che conserva un colore omogeneo e scuro per tutto il pezzo.

Tutt’altro discorso quello di Signore ascoltami: le impressioni si concentrano intorno alla ben nota vocalità di Spaggiari nonché di nuovo ai suoni non sovraincisi e non ipertecnologici della tastiera. Si chiude con Vorrei che tu morissi ora, accordi a loop e amore strano da distribuire in giro.

Disco di particolare intensità, quello di Spaggiari si giova della proposizione “scarna” e immediata, che non oppone filtri all’ascoltatore. Una conferma di alto livello per il cantautore, che mette in circolo canzoni spesso dure come sassi.

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