E’ alla fine partito 30 : 20 : 10 MK²: il tour con il quale i Marlene Kuntz celebrano la propria storia e il ventennale di Ho ucciso Paranoia, il loro terzo e molto significativo album, risalente appunto al 1999. La band ha irrobustito il tutto anche con mk3 – covers&rarities, una raccolta che comprende pezzi rari e cover già ben note, come Bella ciao o Impressioni di settembre, ma anche riproposizioni da Ivan Graziani, Paolo Conte, Radiohead, Jefferson Airplane.
In vista di una seconda parte del tour che vede tappe a Roma, Perugia, Parma, Trezzo sull’Adda (Milano) e Padova (mentre sulla tappa di Fontaneto d’Agogna abbiamo scritto qui), abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Riccardo Tesio, chitarrista e fondatore della band piemontese.
Non siete proprio il gruppo tipico da autocelebrazioni, ma ovviamente le occasioni da celebrare erano significative. Con che spirito avete affrontato raccolta, tour e tutto il resto?
Quello che tu credo abbia intuito: trent’anni sono tanti, sono successe tante cose e ci sembrava giusto festeggiarli in qualche modo con una parte del nostro pubblico che è sempre stata molto fedele in tutti questi anni.
Anche perché il prossimo traguardo, che è quello dei quaranta, è lontano… E poi sono anche venti anni dal nostro terzo album, perciò abbiamo deciso di fare questo tour, di sole dieci date, però festeggiando 30 anni di attività e venti dal disco. Poi c’è anche questa idea del doppio concerto, quindi una prima parte tutta acustica e più intima, in cui noi suoniamo seduti, e una seconda parte più elettrica.
Visto in prospettiva qual è il tuo giudizio su “Ho ucciso Paranoia”?
Ho ucciso Paranoia è forse quello che ha avuto la gestazione più lunga, fra i nostri album. Perché ci tenevamo a fare un bel lavoro. Il primo album, Catartica, ha avuto anche una gestazione lunga ma perché abbiamo fatto cinque anni di gavetta. Tutti i nostri dischi sono abbastanza complicati, ma per esempio Il vile è stato “normale”.
Invece HUP è stato un po’ più travagliato perché molti pezzi li abbiamo scritti, modificati, riscritti per trovare la giusta quadra. Eravamo molto ambiziosi, volevamo fare il meglio possibile e questo ci ha portato via molto tempo, anzi in certi casi ci eravamo proprio incaponiti.
Quello che è stato importante di quel disco è che abbiamo introdotto il concetto di improvvisazione, di “spora”, che prima non avevamo. Prima la composizione era più “standard”, classica: si partiva da un riff, da un giro di chitarra e un’idea di melodia vocale in “finto inglese”, oppure un pattern di basso e batteria, come in Sonica. Eravamo partiti mettendoci del noise di chitarre e poi pian piano si è sviluppata la canzone.
Invece con Ho ucciso Paranoia abbiamo introdotto l’improvvisazione. Avevamo quasi dieci anni di attività, ci conoscevamo già molto bene a livello musicale e quindi potevamo permetterci di improvvisare. Io parto con un riff, Cristiano sa già dove voglio andare e mi segue, o viceversa. Idem la batteria.
Allora facevamo queste lunghe ore di improvvisazione in sala prove, registravamo, con pazienza andavamo a riascoltare e andavamo a individuare i momenti che ci sembravano particolarmente belli. Diciamo che l’improvvisazione ti porta a fare cose semplici, perché devi “buttarla lì”. Quindi a volte vengono fuori delle cose un tantino banali.
Poi però a volte scatta la magia, proprio perché viene fuori qualcosa di inaspettato. Quindi andavamo alla ricerca di questi momenti speciali per svilupparli e farli diventare canzone. Forse anche per questo motivo ci abbamo impiegato tanto tempo a farlo. Perché questo procedimento era abbastanza complesso.
Ti trovavi magari con trenta secondi o un minuto di improvvisazione bellissima ma poi da lì dovevi estrarre la canzone, farti venire in mente un proseguimento, un bridge, un’intro, c’era ancora del lavoro da fare.
Quello che cerchi di tirare fuori da te stesso
Qual è il tuo disco preferito dei Marlene?
Domanda difficile. Però così, senza pensarci troppo direi Il vile.
Vi ho visti poche sere fa al Phenomenon di Fontaneto. E ho ascoltato Godano che diceva che sono passati trent’anni ma siete ancora amici. Posto che gli scazzi succedono sempre anche nelle migliori famiglie, come si riesce a fare un lavoro molto particolare come quello di musicista per trent’anni senza prendere strade diverse?
Credo che il segreto nel nostro caso, perché poi non credo ci sia un’unica soluzione possibile, è stato quello di diventare subito consapevoli che quando si è in un gruppo rock, pop, nel giro di poco tempo sono definiti alcuni ruoli.
Il cantante diventa un po’ il portavoce del gruppo, quello a cui mediamente vanno a chiedere gli autografi e a fare le domande perché sono abituati a sentire lui parlare. Magari c’è il batterista che riesce meglio in altre cose, è quello più simpatico, più adatto a relazionarsi con altre persone, anche con gli addetti ai lavori.
Io ero quello un po’ più introverso quindi meno adatto alle relazioni ma sono tuttora appassionato di elettronica e quindi sono quello più addetto alle questioni del suono, alle questioni tecniche, agli amplificatori, le casse, i pedalini…
Ognuno ha capito qual era il proprio ruolo e non è stato invidioso del ruolo dell’altro. Questo fin da subito quindi non abbiamo iniziato a dire: “Ah ma voglio cantarlo anch’io questo pezzo, ma perché non proviamo con quel testo che ho scritto io…” oppure: “Basta con i tuoi assoli di chitarra, adesso tocca a me!”
Del resto, un conto è se esegui la musica di altri, ma se sei anche autore, quello che viene fuori è abbastanza intimo. Non soltanto le parole ma anche la musica è quello che tu cerchi di tirare fuori da te stesso, quindi andarsi a sentire criticare o denigrare su quella parte lì può fare anche soffrire, e anche in profondità. Ogni tanto capita, è umano, ma se diventa una cosa frequente ci si allontana.
Già che ci siamo: che cosa pensi del disco solista di Cristiano?
Da che punto di vista?
Da quello che vuoi tu…
C’è una questione molto semplice, per come l’ho vissuta io. Cristiano aveva e ha anche un suo modo di scrivere e di concepire le canzoni che non è quello che normalmente si sente nei Marlene. Lui ha anche altre idee e altre suggestioni, e a volte lì in sala prove, quando si trattava di fare pezzi dei Marlene cercava di portare me e Luca nella sua direzione.
Erano cose che, parlo per me, a me non piacevano tanto: non che siano brutte, però non sono a mio agio a suonare in certe situazioni e in un certo tipo di atmosfere. Credo che in alcuni casi anche il batterista non fosse a suo agio. Ma anche per motivazioni banalmente tecniche: io sono un chitarrista nato come noise/post punk. Mi viene bene fare un certo tipo di cose, non sono tanto a mio agio a farne altre, magari mi piace ascoltarle ma non farle.
Quindi c’era sempre un pochettino di frizione, non nel senso di litigio, ma alla fine la canzone che veniva fuori non soddisfaceva né me né lui. Quando mi ha detto: “Mi piacerebbe fare un disco solista”, gli ho risposto: “Bene, così dai sfogo a questa creatività che io involontariamente un po’ limito”.
Quindi credo che sia una cosa buona per lui ma anche un po’ per i Marlene perché il rischio era di fare delle canzoni a nome Marlene ma che erano un po’ un ibrido. Non sarebbe stato né completamente contento lui né completamente io. Poi il suo disco l’ho ascoltato ed è molto bello.
È successo in momenti diversi e circostanze diverse, ma la raccolta “MK30” mi dà l’occasione di chiedertelo: come vi siete sentiti ad approcciare pezzi di storia della canzone (e non solo della canzone) come “Bella ciao”, “La libertà”, “Impressioni di settembre”?
Sicuramente con uno spirito rispettoso, infatti i pezzi mediamente non li abbiamo mai stravolti. Credo che si possa dire che sono suonati alla Marlene ma non riscritti alla Marlene.
In generale qualunque artista quando fa una cover ha rispetto e ammirazione della canzone che va a risuonare. Questo lo diamo per assodato, in più c’è anche un po’ una voglia di imparare.
Quando ascolti una canzone, magari alla radio dici che è bella. Poi provi a suonarla e magari scopri, e ti dici: “Ah ma guarda come hanno fatto a fare questo ponte, guarda l’idea che hanno avuto per sviluppare questa parte…” Cose che magari a te non sarebbero mai venute in mente perché segui la tua strada.
Soprattutto quando hai a che fare con canzoni molto importanti c’è sempre da imparare.
A Faenza avete ritirato il Premio Ciampi. Ora, di premi nel corso della vostra carriera ne avete ricevuti a carriolate, ma vista la denominazione, questo ha avuto un significato diverso?
E’ sicuramente un autore molto importante, anche se noi non lo abbiamo mai ascoltato più di tanto. Però sicuramente fa parte dei grandi autori della canzone italiana per tanti motivi, però sicuramente nella ricerca, nell’uso della parola, anche in alcuni giochetti linguistici, che sono anche quelli che a volte usa Cristiano. Ed è sicuramente fonte di orgoglio ricevere un premio con quel nome.
C’è tanta musica bella scritta in Italia. Visto che parlavamo prima di cover ne abbiamo fatte di Mina, di Paolo Conte: anche loro musicalmente sono molto lontani da noi, però sono canzoni strepitose, sia a livello di testo sia di scrittura musicale, si parla veramente di altissimi livelli.
Nella grande dicotomia chitarra sì/chitarra no mi sembra evidente da che parte vi schieriate voi, e soprattutto tu. Perciò in questi tempi di quasi rifiuto della chitarra, ci sono dei gruppi italiani di oggi che invece rispettano questo strumento e che ti piacciono particolarmente?
Sì ce ne sono, diciamo che è un periodo in cui la chitarra non va molto di moda, perciò sono magari gruppi che non riescono a farsi molto conoscere perché la musica di tendenza, quella di cui si parla, non conosce quel tipo di strumento lì, la chitarra elettrica distorta…
Mi viene in mente che prima di noi, sia a Roma sia a Milano suoneranno i Life in the Woods, che è un gruppo prodotto da Gianni Maroccolo, e sono molto bravi e hanno la chitarra…
E poi nella pausa fra primo e secondo tempo durante i nostri concerti diamo spazio a chi ha fatto una cover dei Marlene, con anche un inedito. A Fontaneto abbiamo proposto un minuto di Sonny and the Stork, di cui sta per uscire un disco prodotto da Livio (Magnini, Ndr) dei Bluvertigo.
A Firenze la cover era quella dei Colonnelli, che invece sono superchitarrosi. Insomma di cose ce ne sono. Ecco, non sono molto di moda e non se ne sente molto parlare. Ma contiamo che come in tutte le mode ci siano i corsi e i ricorsi.
Come vedi il futuro dei Marlene ora?
Buona domanda… Diciamo che noi abbiamo sempre molta voglia di fare cose e di sperimentare. Adesso siamo in chiacchiere con un regista e probabilmente riusciremo a fare una colonna sonora di un film. Sarebbe un traguardo bellissimo.
Ovviamente non mi dirai chi è il regista…
Non ancora perché preferisco esserne sicuro… Poi chiaramente un nuovo disco. Che cercheremo di fare al meglio possibile. Poi abbiamo dei contatti: ora che abbiamo preso anche questo premio teatrale (Premio Le Maschere del Teatro italiano 2019, Ndr), chi lo sa magari riusciamo anche a fare qualche altra colonna sonora per il teatro.
Cerchiamo di continuare a sperimentare e a spaziare perché oltre a essere divertente è anche “nutriente”, diciamo così.
Marlene Kuntz: le date di 30 : 20 : 10 MK²:
10.10 ROMA, Orion
11.10 PERUGIA, Afterlife
12.10 PARMA, Campus Industry
18.10 TREZZO S/ADDA (MI), Live Club
19.10 PADOVA, Hall