MaruChe cos’hanno in comune Siracusa e Cremona? Principalmente Maru, cantautrice siciliana, cresciuta a Siracusa ma con un progetto che nasce nella città del torrone e degli Stradivari, dove si trasferisce nel 2012 per frequentare, appunto, la Scuola di Liuteria. Il primo album è omonimo ed è presentato dal videoclip del singolo Ninì. Prodotto da Davide Di Rosolini a Torino, passa dai suoni leggeri dell’ukulele e di uno xilofono fino a una band vera e propria.

Maru traccia per traccia

Si parte da Zerotresettedue, che fa il possibile per aprire le orecchie dell’ascoltatore su un mondo che è spesso allegro, a volte con una punta d’amaro, tra ukulele e un cantato piuttosto colorato.

Denti da latte conserva l’ingenuità e la freschezza della traccia precedente, approfondendo il discorso con un testo che racconta di amori, d’infanzia e di altre cose così. Maledetti introduce qualche piccola sofferenza sia nel tessuto sonoro, sia in quello del testo, ma senza rinunciare alla serenità complessiva.

Ninì è il singolo, e del singolo ha anche il passo, benché un velo di tristezza si stenda su una canzone che ha molto di nostalgico. Più appuntita Olliunchenit, che alla pulizia dello xilofono contrappone un cantato piuttosto aspro. Si torna a dimensioni più intime e minimal con Un meteo nel caffè. Pueblo si divide tra allegria, amore e struggimento, mirando espressamente a spiazzare chi ascolta, anche con consigli alimentari piuttosto curiosi.

Ventiquattromarzo rientra nella sfera più intima, con una linea melodica semplice ed essenziale. Senzaemme costruisce atmosfere diverse, sceglie per una volta la chitarra, ovviamente acustica, e si costruisce in folk senza deviare in maniera troppo violenta dalle linee dell’album. Il disco si chiude sulle note di Il Trucco+Astor, canzone doppia in cui il filo conduttore è una certa idea di lo-fi.

A voler essere critici, il cantato di Maru è spesso imperfetto, le parole a volte difficili da comprendere. E poi c’è troppo ukulele, dai. Detto questo, il disco è buono proprio così, con quel tantino di spontaneo, impreciso e slabbrato, che fa da contrappeso a quel tanto di buono, ispirato e convinto che riempie l’album.

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