Mirko Filacchioni, mettendosi alla prova
[soundcloud url=”https://api.soundcloud.com/users/204256085″ params=”color=ff5500&auto_play=false&hide_related=false&show_comments=true&show_user=true&show_reposts=false” width=”100%” height=”450″ iframe=”true” /]

mirko filacchioniMirko Filacchioni suona la chitarra ed è chiaramente appassionato del suono di questo strumento, come dimostrano le quattro tracce che ha di recente pubblicato con l’ep In Guitar We Trust, e che ti offriamo qui in streaming.

Nei suoi brani c’è virtuosismo ma non esasperato, spesso accompagnato da ritmiche consistenti, come in De-Fate. I suoi brani sono spesso brevi (soltanto una volta si superano i 3 minuti) e del tutto strumentali, con un background sonoro su cui poggia le note della sei corde.

Abbiamo rivolto qualche domanda a Mirko.

Puoi raccontare la tua storia fin qui?

Sono nato a Roma e sono un chitarrista, o almeno ci provo, ho iniziato a suonare la chitarra a 12 anni da autodidatta, dopo aver imparato le prime canzoni ho formato dei gruppi cover di Hard Rock anni 70 che è la mia passione, da subito però mi sono appassionato alla composizione e ben presto quei gruppi sono diventati progetti di musica inedita.

Sono passato da progetti Metal a progetti Rock e Pop, questo mi ha dato la possibilità di mettere alla prova le mie doti e la mia conoscenza dello strumento, ma a un certo punto del mio percorso ho sentito il bisogno di fare qualcosa di più, cosi mi sono iscritto alla Rock Guitar Academy di Donato Begotti, che ho frequentato per 3 anni sotto la guida del maestro Piero Marras, una grande persona e un grandissimo chitarrista.

Finito questo percorso ho lasciato tutti i progetti che avevo in piedi e mi sono dedicato al mio progetto solista, essendo un chitarrista la mia scelta è caduta su un progetto di Rock strumentale e da qui nasce il mio EP intitolato “In Guitar We Trust”

Qual è il tuo modus operandi quando componi?

In realtà non c’è un vero e proprio “modus operandi”, l’ispirazione può arrivare da qualsiasi cosa, una frase, un esperienza di vita, un immagine… a un certo punto sento qualcosa dentro che deve uscire, è una sensazione che non riesco a descrivere, a quel punto prendo la chitarra e inizio a suonare.

A volte la canzone inizia da un arpeggio, a volte da una linea melodica, a volte anche da un ritmo di batteria, non c’è una regola, quando trovo la cosa giusta inizio a costruirci intorno la canzone, naturalmente lo faccio solo quando so cosa voglio ottenere dal punto di vista stilistico, altrimenti la tengo da parte fino a che non ho le idee chiare.

Come nascono i quattro brani del tuo ep?

Nascono tutti in modi e momenti diversi, ma tutti dalla voglia di sperimentare un nuovo sound, ho cercato di fondere la mia chitarra con percussioni, fiati e uno strumento giapponese che si chiama shamisen. “My Hero” è la più vecchia, è un brano, che aveva anche un testo, di un progetto mai partito che ho riarrangiato.

Poi c’è “Don’t Give Up”, più recente ma sempre di qualche anno fa, è una canzone strumentale nata dall’assolo che avevo composto su una canzone di un progetto Metal, “De-Fate” è più recente, nasce da un riff di una canzone di un progetto Pop/Rock, mentre “New Way” è la canzone da cui è partito tutto. Dopo aver partecipato alla master class di Steve Vai, un esperienza incredibile, ho avuto uno dei miei “attacchi” di ispirazione, e seguendo i consigli di Steve Vai sulla composizione è nata “New Way”

Quali sono i tuoi punti di riferimento musicali?

Mi piace prendere ispirazione da tutto, ma i chitarristi che mi hanno più influenzato sono sicuramente Jimmy Page per i suoi riff, Eddie Van Halen per la sua genialità, Zakk Wylde per la sua potenza, Steve Vai per il suo feeling con lo strumento e Joe Satriani per la sua musicalità. Ci sono molti altri chitarristi che adoro, ma questi sono quelli che mi hanno influenzato di più.

Chi è “My Hero”?

In realtà avrei dovuto intitolarla “My Heros”, perché non parla di una persona in particolare, ma di tutte quelle persone che tutti i giorni affrontano i problemi della vita, persone che nonostante le avversità continuano a vivere con il sorriso e non si piangono addosso come spesso facciamo noi per futili problemi.

Puoi raccontare la strumentazione principale che hai utilizzato per suonare in questo disco?

In realtà è molto semplice, ho usato le mie 2 chitarre, una Jackson Randy Rhoads e un Epiphone Les Paul customizata dal mio liutaio attaccate ad una scheda audio (Rig kontrol 3), per i suoni di chitarra e basso ho usato Guitar Rig, per gli altri strumenti ho scritto le parti midi e poi ho usato Kontakt, il tutto su Cubase, dopo aver registrato ho mandato tutto a un mio amico fonico per mix e master. Volendo chiunque può farlo, certo avere un amico fonico aiuta molto.

Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimi di più in questo momento e perché?

I Bud Spencer Blues Explosion sono tra i miei favoriti, non perché sono di Roma come me, ma perché trasmettono un energia incredibile e hanno un sound spettacolare, però voglio fare i complimenti a tutti gli artisti indipendenti e a tutti quelli che si occupano di musica indipendente, perché con questa esperienza ho visto che è veramente difficile in Italia avere un po’ di spazio, quindi forza ragazzi!